Adeguamento stipendi a inflazione: di quanto dovrebbero aumentare?

Cresce l’inflazione in Italia ma non gli stipendi per far fronte, adeguatamente, al costo maggiore della vita: di quanto dovrebbero aumentare per essere considerati competitivi?

Pubblicato: 2 Novembre 2023 12:04

Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Cresce l’inflazione in Italia ma non gli stipendi, che perdono potere d’acquisto e non riescono nella maggior parte dei casi a far fronte al costo maggiore della vita. Viene da chiedersi, allora: di quanto dovrebbero aumentare i salari per essere considerati competitivi e adeguati in questo momento?

Proviamo a fare il punto.

Di quanto sono aumentati gli stipendi in Italia

L’elevata inflazione, l’aumento dei prezzi e la stagnazione dei salari hanno causato un calo del potere di acquisto di molti salari in Italia nell’ultimo anno. Sebbene l’Istat abbia confermato una lieve crescita degli stipendi negli ultimi mesi, appaiono ancora necessari alcuni aggiustamenti, a partire da una valutazione del loro impatto sull’economia e sul costante aumento del costo della vita.

Secondo l’ultimo report Istat pubblicato il 27 ottobre 2023, “nei primi nove mesi del 2023, la retribuzione oraria media è del 2,6% più elevata di quella registrata nello stesso periodo del 2022”.

Inoltre: “L’indice delle retribuzioni contrattuali orarie, a settembre 2023, è stabile rispetto al mese precedente e aumenta del 3,0% rispetto a settembre 2022”, mentre “l’aumento tendenziale è stato del 4,5% per i dipendenti dell’industria, dell’1,6% per quelli dei servizi privati e del 3,3% per i lavoratori della pubblica amministrazione”.

I settori che presentano gli aumenti tendenziali più elevati sono:

L’incremento è invece nullo per farmacie private e per pubblici esercizi e alberghi.

L’Inflazione in Italia cresce più degli stipendi

Il dato relativo agli aumenti degli stipendi in Italia è interessante soprattutto se paragonato a un altro report Istat, quello del 16 ottobre 2023, sui Prezzi al consumo in Italia.

Infatti: “Nel mese di settembre 2023, si stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi registri un aumento dello 0,2% su base mensile e del 5,3% su base annua, da +5,4% del mese precedente, confermando la stima preliminare”. L’inflazione acquisita per il 2023 è pari a +5,7% per l’indice generale e a +5,2% per la componente di fondo.

Inoltre, anche se si è affievolita la crescita su base annua dei prezzi dei beni (da +6,3% a +6,0%) si accentua quella dei servizi (da +3,6% a +4,1%), portando il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni a -1,9 punti percentuali, da -2,7 di agosto. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) è invece aumentato dell’1,7% su base mensile, anche per effetto della fine dei saldi estivi di cui il NIC non tiene conto, e del 5,6% su base annua (in accelerazione da +5,5% di agosto).

Non a caso, afferma l’Istat nella sua analisi, “nel terzo trimestre 2023 l’impatto dell’inflazione, misurata dall’IPCA, è più ampio sulle famiglie con minore capacità di spesa rispetto a quelle con livelli di spesa più elevati (+6,7% e +5,6% rispettivamente). Tuttavia, rispetto al trimestre precedente, il rallentamento dell’inflazione è più marcato per il primo dei due gruppi”.

Come l’inflazione ha corroso il potere di acquisto dei salari

I prezzi e il costo della vita sono aumentati non solo in Italia ma, per effetto delle ripetute crisi economiche e geopolitiche, in tutta l’area OCSE, crescendo a un ritmo eccezionalmente rapido negli ultimi due anni e raggiungendo livelli mai visti da decenni in molti paesi europei.

Nel frattempo, gli stipendi, nonostante la ripresa in molti paesi rispetto all’ultimo decennio, non hanno tenuto il passo. Di conseguenza, l’inflazione ha eroso gran parte della crescita dei salari, nonché del potere d’acquisto. In sostanza, possiamo anche guadagnare qualche centinaio di euro in più rispetto a due anni fa, ma il nostro denaro vale meno (ovvero, ci compriamo meno cose).

Per spiegare bene come funziona questo meccanismo basta ricorrere a un esempio davvero elementare, ovvero: se prima nel 2022 una confezione di spaghetti costava intorno ai 1,08 euro, con mille euro ci potevi comprare circa 925 confezioni. Oggi la stessa confezione costa intorno a 1,78 euro, quindi vuol dire che con mille euro ci compri circa 561 confezioni (con 1.500 euro approssimativamente 840). Anche chi guadagna di più, oggi, può permettersi comunque meno.

Ad essere particolarmente a rischio sono i lavoratori a basso reddito, poiché hanno meno margine di manovra per far fronte all’aumento del costo della vita attraverso risparmi o prestiti e una percentuale maggiore della loro spesa è destinata all’energia e al cibo.

Di quanto dovrebbero aumentare gli stipendi per far fronte al caro vita

Secondo gli ultimi dati Istat, il tasso di inflazione in Italia oggi è pari al 5,4% su base annua. In generale si ritiene che un aumento dello stipendio pari o inferiore all’attuale tasso di inflazione è, in termini di denaro reale, una riduzione dello stipendio. Per cui, un aumento adeguato dei salati in Italia, se minore a 5,4% o a un tasso che oscilla intorno a questa cifra, risulta inadeguato.

Come abbiamo visto, nonostante il taglio del cuneo fiscale nel 2023 voluto dal governo Meloni (che dovrebbe essere confermato dalla Manovra 2024), che riconosceva un incremento nel cedolino mensile del 6 o 7% ai lavoratori dipendenti, le statistiche ISTAT confermano oggi un incremento medio degli stipendi che si è mantenuto al di sotto del tasso inflazionistico. Esclusi alcuni casi particolari, come vigili del fuoco e metalmeccanici che hanno registrato una crescita annua rispettivamente del +11,3% e +6,2%, l’aumento tendenziale è stato del 4,5% per i dipendenti dell’industria, dell’1,6% per quelli dei servizi privati e del 3,3% per i lavoratori della pubblica amministrazione. Quindi sempre al di sotto del tasso di inflazione.

Discorso a parte invece bisognerebbe fare per professionisti, partite iva, autonomi e in generale tutte quelle categorie di lavoratori che invece non hanno visto crescere – nemmeno di poco – la propria retribuzione, mentre di contro il prezzo di beni e servizi è aumentato in ogni città.

Le definizioni di inflazione e aumento salariale non sono le stesse – Sebbene l’inflazione e l’aumento salariale generalmente si muovano nella stessa direzione e si influenzino a vicenda, sono guidati da fattori diversi. L’inflazione è definita dalle variazioni del costo di un paniere di beni di mercato (come abitazioni, generi alimentari e carburante). La retribuzione, d’altro canto, è determinata dai cambiamenti nella domanda/offerta di lavoro che possono essere causati dalle tendenze demografiche, dai tassi di partecipazione al lavoro, dai livelli di disoccupazione, dai progressi tecnologici e dalla crescita della produttività.

Questa differenza tende a far sentire i dipendenti avvantaggiati in termini di spesa reale durante gli anni di bassa inflazione e svantaggiati durante gli anni di alta inflazione.

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