Negli ultimi anni, la Polizia Postale segnala un aumento costante delle truffe legate al trading online, soprattutto su piattaforme social e motori di ricerca. Molti annunci sponsorizzati propongono guadagni facili e immediati, con slogan accattivanti e testimonial inventati. Gli algoritmi delle piattaforme digitali, spiega la Polizia, contribuiscono a diffondere rapidamente i contenuti fraudolenti, che vengono rimossi solo dopo numerose segnalazioni, per poi riapparire con nuovi nomi e domini. Queste truffe colpiscono soprattutto gli utenti con scarsa competenza finanziaria o con scetticismo verso le istituzioni bancarie, categorie particolarmente vulnerabili alla promessa di guadagni rapidi. Una volta che il contatto con i truffatori si stabilisce, la vittima viene seguita da falsi broker o consulenti che, con telefonate e messaggi, continuano a sollecitare nuovi versamenti.
Google e Facebook, allarme annunci truffaldini
Le forze dell’ordine sottolineano la necessità di un maggiore controllo sulle piattaforme pubblicitarie online, come Google e Facebook, dove spesso vengono diffusi gli annunci truffaldini. Nonostante gli sforzi di moderazione, le pubblicità fraudolente continuano a comparire, sfruttando la velocità di diffusione dei contenuti e l’anonimato garantito dalla rete. Le indagini hanno evidenziato come, anche dopo la rimozione di un annuncio, nuovi post sponsorizzati appaiano nel giro di poche ore, utilizzando nomi e domini diversi. Questo ciclo continuo rende difficile il contrasto al fenomeno e richiede una collaborazione più stretta tra autorità, aziende digitali e istituzioni finanziarie. Prima di effettuare qualsiasi investimento, è quindi importante:
- diffidare delle offerte di investimenti online che promettono immediati ed elevatissimi guadagni;
- non fidarsi delle pubblicità di investimenti che utilizzano loghi di istituzioni o aziende o immagini di personaggi noti: servono a rendere credibile il raggiro;
- verificare che chi propone l’investimento sia autorizzato a farlo;
- controllare che la società o l’intermediario finanziario siano registrati presso la Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), e verificare eventuali “alert” presenti sul sito;
- prediligere società operanti nell’Unione europea, in quanto fino ad ora, nessuna società o piattaforma di trading extraeuropea risulta autorizzata ad operare nel nostro Paese;
- assicurarsi che la società o piattaforma abbia una regolare partita IVA e una sede legale esistente.
Il caso Eni e il meccanismo della truffa
Tra le truffe che hanno acceso i riflettori sul fenomeno c’è quella che scoperta nel 2024 dalla Guardia di Finanza in collaborazione con la Polizia Postale. Indagini accurate che hanno permesso l’oscuramento di circa 500 siti web responsabili di truffe per un valore stimato di circa 50 milioni di euro. L’inchiesta, avviata dopo numerose segnalazioni da parte di cittadini e aziende, ha permesso di scovare come i truffatori sfruttavano indebitamente il marchio Eni Spa e l’immagine dei vertici dell’azienda per promuovere falsi investimenti finanziari. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, i siti oscurati operavano con una struttura complessa e ben organizzata. Gli utenti venivano attirati attraverso annunci sponsorizzati sui social network e sui motori di ricerca, nei quali venivano promessi guadagni rapidi e sicuri grazie a piattaforme di trading automatizzato. Per rendere più credibili le offerte, i truffatori utilizzavano loghi contraffatti di Eni e di altre società note, oltre a video deepfake in cui comparivano falsi interventi di dirigenti e manager dell’azienda energetica.
In alcuni casi, le vittime erano indotte a credere che anche figure pubbliche e personaggi televisivi fossero coinvolti nell’iniziativa. Una volta convinti, gli utenti venivano invitati a versare un investimento iniziale di circa 250 euro, con la promessa di poter monitorare i guadagni attraverso un portale dedicato. Nei primi giorni, la piattaforma mostrava falsi incrementi del capitale, ma non appena le vittime cercavano di prelevare il denaro, veniva richiesto un nuovo versamento per “sbloccare” i profitti. In realtà, il denaro confluiva su conti esteri riconducibili a società fittizie, rendendo quasi impossibile il recupero delle somme.
Gli investigatori, attraverso un lavoro di analisi delle fonti web e tracciamento dei flussi finanziari, riuscirono ad individuare la rete di siti e i canali di pagamento collegati. In parallelo, il servizio di sicurezza informatica di Eni collaborò per verificare le violazioni del marchio e delle immagini aziendali utilizzate per ingannare gli investitori. L’accesso ai 473 siti fraudolenti venne bloccato sul territorio nazionale, impedendo ulteriori truffe. Gli investigatori sottolinearono come la rete fosse operativa da almeno due anni e collegata a organizzazioni specializzate nel cybercrime finanziario.
Per comprendere al meglio il complesso meccanismo, la Guardia di Finanza ha affiancato la Polizia Postale nelle fasi di tracciamento dei capitali e identificazione dei beneficiari finali dei proventi illeciti. Gli uomini del Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche hanno monitorato le transazioni sospette, individuando conti correnti e wallet digitali riconducibili alla rete criminale. I fondi venivano movimentati attraverso una catena di società di comodo registrate in paesi extraeuropei e riciclati in attività apparentemente lecite. In questa fase, l’attività investigativa si è concentrata sull’analisi dei flussi finanziari internazionali, per ricostruire i percorsi del denaro e stabilire le responsabilità.
Le vittime e l’impatto economico
Secondo le prime stime, sarebbero migliaia le persone truffate in tutta Italia. Le perdite individuali variano da poche centinaia a decine di migliaia di euro. L’impatto economico complessivo supera i 50 milioni di euro, una cifra che conferma la dimensione internazionale del fenomeno. Tra le vittime non solo cittadini privati, ma anche piccole imprese e professionisti che avevano investito parte dei risparmi confidando nella serietà dei marchi utilizzati. Il modus operandi dei truffatori, spiegano gli inquirenti, segue uno schema ormai consolidato: sfruttare marchi conosciuti e immagini di personaggi pubblici per ottenere fiducia e indurre gli utenti meno esperti a investire. L’uso dell’intelligenza artificiale per la creazione di video deepfake ha reso le campagne fraudolente ancora più convincenti e difficili da riconoscere.