La COP28, la conferenza internazionale sul clima in corso a Dubai, è ancora in corso, ma l’Opec, l’organizzazione che raggruppa 13 paesi produttori di petrolio, principali responsabili della crisi climatica, mostra segni di nervosismo.
Dopo aver letto una bozza del testo finale della conferenza, che prevede l’eliminazione graduale delle fonti fossili, il segretario dell’Opec ha scritto una lettera invitando gli stati membri dell’organizzazione a rifiutare qualsiasi accordo che abbia come riferimento “l’energia più che le emissioni”.
La lettera del segretario dell’Opec, Mohammed Barkindo, è un chiaro segnale di allarme per l’organizzazione. L’eliminazione graduale delle fonti fossili, infatti, significherebbe una drastica riduzione delle entrate per i paesi membri dell’Opec, che dipendono in larga misura dalla vendita di petrolio e gas.
L’Opec non è l’unico paese a mostrare segni di nervosismo alla COP28. Anche altri paesi produttori di combustibili fossili, come Russia, Cina e India, si oppongono all’eliminazione graduale delle fonti fossili.
La posizione di questi paesi rappresenta un ostacolo al raggiungimento di un accordo ambizioso alla COP28. L’obiettivo della conferenza è quello di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi centigradi, ma senza l’impegno dei paesi produttori di combustibili fossili sarà difficile raggiungere questo obiettivo.
Le pressioni dell’Opec sono solo un punto di quello che è successo oggi, andiamo a vedere nel dettaglio.
Indice
Opec contro la Cop28: la difesa dei combustibili fossili
L’Opec, ha avvertito i suoi membri di opporsi a qualsiasi documento finale della Cop28 di Dubai che punti a eliminare i combustibili fossili, responsabili della crisi climatica. Lo ha fatto con delle lettere, autenticate da Bloomberg e Reuters, in cui ha espresso la sua preoccupazione per le possibili conseguenze irreversibili di una transizione energetica.
La reazione dell’Opec ha suscitato lo stupore e la rabbia della ministra francese dell’Energia, Agnes Pannier-Runacher, ma non del ministro italiano dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, che ha sottolineato come l’Opec stia difendendo i propri interessi. Interessi che sono ben rappresentati anche dalla lobby del fossile, che secondo un’indagine del Corporate Europe Observatory e della coalizione Kick Big Polluters Out, di cui fa parte ReCommon, ha ottenuto oltre 130 accrediti ufficiali per partecipare ai negoziati della Cop28, a differenza della società civile e dei media.
Tra le aziende del settore, Eni si distingue come la seconda al mondo per progetti di espansione di produzione di idrocarburi negli Emirati, dove è il principale partner dell’azienda di stato Adnoc.
Opec contro l’eliminazione dei combustibili fossili alla Cop28
La posizione dell’Opec è stata criticata da molti Paesi, che sostengono la transizione energetica, come l’Europa e dalle Isole Marshall, che rischiano di scomparire a causa della crisi climatica. La ministra dell’Ambiente francese, Agnes Pannier-Runacher, ha detto che la posizione dell’Opec “mette in pericolo i Paesi più vulnerabili e le popolazioni più povere”.
La vicepremier spagnola, Teresa Ribera, ha definito la posizione dell’Opec “disgustosa”. Il ministro dell’Ambiente delle Isole Marshall, David Paul, ha invece detto che i suoi concittadini “non andranno in silenzio nelle loro tombe”.
L’Italia ha espresso invece un parere più cauto. Il ministro italiano dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha commentato: “La COP deve dare un percorso che è quello della decarbonizzazione che significa superare la fase del carbone e successivamente la fase del petrolio. Quella dell’Opec è una mossa di puro interesse di parte e ci si dovrebbe stupire se non provasse a tutelare i propri interessi”.
COP28: le multinazionali del fossile infiltrate nelle delegazioni europee
La COP28, è stata criticata per la sua scarsa ambizione e per la sua eccessiva influenza da parte delle lobby dei combustibili fossili. Secondo una ricerca del Corporate Europe Observatory, un’organizzazione che monitora il potere delle multinazionali, l’Unione Europea e i suoi Stati membri hanno accreditato ben 132 rappresentanti del settore dell’oil&gas, tra cui i vertici di TotalEnergies ed Eni. Questi ultimi hanno partecipato ai negoziati sul clima come membri delle delegazioni della Commissione Europea e dei governi nazionali, tra cui quello italiano guidato da Meloni. La Francia e il Belgio sono i paesi che hanno portato più lobbisti del fossile, 26 ciascuno, seguiti dall’Italia con 19. Tra questi, spiccano i nomi di Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, e di Guido Brusco, direttore generale di Natural Resources di Eni e presidente di Confindustria Energia. La presenza di queste figure è stata denunciata come un conflitto di interessi e una minaccia per la credibilità e l’efficacia della COP28.
Eni, tra i maggiori responsabili dei cambiamenti climatici
Eni si trova attualmente sotto i riflettori giudiziari, citata da Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadini in una causa riguardante i danni climatici. Secondo un nuovo report di Urgewald, Lingo, Reclaim Finance e BankTrack, l’azienda è la seconda al mondo per progetti di espansione di produzione di idrocarburi negli Emirati. Il rapporto evidenzia che Eni è la seconda azienda a livello mondiale per i progetti di espansione nella produzione di idrocarburi negli Emirati, con un ruolo chiave come partner internazionale di Adnoc, l’azienda di stato emiratina.
Tra i progetti criticati dagli ambientalisti, spicca il progetto Ghasha, con avvio previsto nel 2025. Questo giacimento offshore, situato nella Riserva della Biosfera di Marawah, ha suscitato preoccupazioni per la sua impatto sulla più grande riserva marina naturale del Medio Oriente. Inoltre, Eni e Adnoc stanno investendo nella cattura e stoccaggio del carbonio (Ccs), collegato a un progetto di recupero del petrolio nel giacimento di Bab, con potenziali conseguenze ambientali.
Le critiche si intensificano considerando le stime dei ricercatori della rete ambientalista Lingo. I principali progetti di estrazione di petrolio e gas nei paesi dell’Opec del Golfo potrebbero causare oltre 43 milioni di morti premature nella regione entro la fine del secolo. Questi danni, misurati in base al costo sociale del carbonio, ammontano a cifre impressionanti: circa 19.800 miliardi di dollari nell’area del Consiglio di cooperazione del Golfo e 80.000 miliardi di dollari a livello globale. Questi numeri rappresentano sfide significative, equivalenti a 70 volte il PIL annuale dell’Arabia Saudita e 800 volte l’importo destinato ai finanziamenti annuali per il clima.
Phase out dei combustibili fossili: le quattro ipotesi in discussione alla Cop28
La Cop28, sta discutendo quattro ipotesi per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili.
- La prima prevede l’eliminazione graduale in linea con la migliore scienza disponibile
- La seconda prevede l’eliminazione graduale in linea con la migliore scienza disponibile e il percorso indicato dall’Ilcc per restare entro gli 1,5 gradi di riscaldamento
- La terza prevede l’eliminazione progressiva, con il settore energetico “prevalentemente” libero prima del 2050
- La quarta prevede l’eliminazione progressiva in modo da raggiungere l’azzeramento netto delle emissioni di CO2 nei sistemi energetici intorno al 2050.
Anche solo l’adozione di una di queste formulazioni sarebbe una decisione storica e un riconoscimento verso gli allarmi che la scienza pone da decenni verso il clima. Se non passasse nessuna di queste opzioni, la Cop28 sarà a tutti gli effetti definita un tentativo fallimentare contro il riscaldamento globale.
Baku ospiterà la prossima COP sul clima
Intanto è stata finalmente decisa la sede della prossima conferenza sul clima delle Nazioni Unite: sarà Baku, la capitale dell’Azerbaigian. La scelta è avvenuta dopo un lungo braccio di ferro tra Mosca e Bruxelles, che ha visto la candidatura della Bulgaria essere respinta dalla Russia e quella di Baku essere osteggiata dall’Armenia. Così, la COP si terrà in un Paese che basa la sua economia sul petrolio, un paradossale scenario per discutere di cambiamento climatico.
Protesta di massa a Dubai contro la guerra e il clima
Non si fermano le proteste contro la COP28, oggi, una manifestazione di protesta di dimensioni mai viste finora ha inondato gli spazi esterni dell’Expo di Dubai.
La manifestazione, promossa da gruppi ambientalisti e pacifisti, ha visto la partecipazione di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo. I manifestanti hanno marciato per le strade di Dubai, portando con sé cartelli e striscioni che denunciavano la guerra in Medioriente e la crisi climatica.
In particolare, i manifestanti hanno chiesto ai governi di adottare misure concrete per ridurre le emissioni di gas serra e per promuovere la pace nel Medio Oriente.
La manifestazione è stata un’importante dimostrazione della crescente preoccupazione per la crisi climatica e per le guerre in Medio Oriente. È un segnale che i cittadini di tutto il mondo chiedono ai governi di prendere provvedimenti urgenti per affrontare queste due crisi.
La protesta di Extinction Rebellion contro la COP28
Manifestazioni di potesta anche in Italia. Extinction Rebellion, il movimento internazionale che lotta per il clima, ha organizzato una serie di azioni simboliche nelle principali città italiane per denunciare il fallimento della COP28. Il gruppo ha usato un colorante innocuo, la fluoresceina, per tingere di verde i fiumi e i canali di Roma, Venezia, Milano, Torino e Bologna, creando un forte contrasto visivo con l’ambiente urbano. L’obiettivo era richiamare l’attenzione sull’urgenza di agire per fermare la crisi climatica e la sesta estinzione di massa, che minacciano la vita sul pianeta.
In alcune città, la protesta è stata accompagnata da altri gesti scenografici: a Torino e a Milano, una casa di cartapesta è stata fatta affondare nelle acque verdi, come a simboleggiare il destino della Terra se non si cambia rotta; a Venezia, alcuni attivisti si sono appesi al ponte di Rialto, sopra il Canal Grande colorato; a Bologna, dei canotti sono stati lasciati nel canale del Reno, noto come “la piccola Venezia”; a Roma, l’isola Tiberina è stata circondata dal verde del Tevere. A Milano, inoltre, i manifestanti hanno cantato My Heart Will Go On, la celebre canzone del film Titanic, per rimandare al pericolo dell’innalzamento del livello del mare e del collasso ecologico.
Alla protesta ha aderito anche la campagna “Debito per il Clima”, che chiede la cancellazione dei debiti dei paesi del sud del mondo per permettere loro di abbandonare i combustibili fossili e di adattarsi agli impatti del cambiamento climatico. “La fluoresceina che abbiamo usato – spiega Paola da Venezia – è un sale innocuo, che viene usato anche dagli idraulici o dai soccorritori. Non fa male né alle persone né agli animali né alle piante. Ma il colore dei nostri mari e dei nostri fiumi cambierà davvero se non si interviene subito per ridurre le emissioni di gas serra. La COP28 è una farsa, dominata dagli interessi delle multinazionali petrolifere e dai governi complici. Noi non ci arrendiamo e continuiamo a ribellarci per salvare il futuro”.