Cambiamenti climatici nei prossimi 20 anni, il 70% della popolazione mondiale mondiale è rischio

Se non si riducono drasticamente le emissioni, tre quarti della popolazione mondiale sarà a rischio per i cambiamenti climatici estremi nei prossimi 20 anni

Pubblicato: 11 Settembre 2024 16:30

Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

Secondo un nuovo studio, quasi tre quarti della popolazione mondiale potrebbe affrontare cambiamenti forti e rapidi nelle temperature estreme e nelle precipitazioni nei prossimi 20 anni, a meno che le emissioni di gas serra non vengano ridotte in modo drastico.

Lo studio è stato condotto da scienziati del Cicero, il Centro per la Ricerca Internazionale sul Clima, con il supporto dell’Università di Reading. I risultati mostrano che il 20% della popolazione potrebbe trovarsi esposto a rischi climatici estremi se le emissioni verranno ridotte a sufficienza per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Al contrario, se verranno prese misure limitate, il rischio potrebbe interessare fino al 70% della popolazione.

La nuova ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Geoscience, illustra come il riscaldamento globale possa combinarsi con le normali variazioni climatiche, generando periodi decennali caratterizzati da cambiamenti molto rapidi sia nelle temperature estreme che nelle precipitazioni.

Pochi studi hanno esaminato l’impatto che il clima estremo potrebbe avere su diversi paesi. La dottoressa Carley Iles, autrice principale della ricerca presso il Cicero, ha affermato: “Ci concentriamo sui cambiamenti regionali, data la loro maggiore rilevanza rispetto all’esperienza diretta delle persone e degli ecosistemi, rispetto alla media globale. Abbiamo identificato le regioni che, nei prossimi decenni, potrebbero subire cambiamenti sostanziali nei tassi di uno o più indici di eventi estremi”.

Cambiamenti climatici, un futuro preoccupante

Nello studio sono state utilizzate grandi simulazioni climatiche per dimostrare che ampie aree dei tropici e dei subtropici, che comprendono il 70% della popolazione attuale, sono previste per sperimentare forti tassi congiunti di cambiamento nelle estremità di temperatura e precipitazione nei prossimi 20 anni, in uno scenario ad alte emissioni. Con una forte mitigazione delle emissioni, questa percentuale è prevista ridursi al 20%, ovvero circa 1,5 miliardi di persone.

I cambiamenti rapidi aumentano il rischio di condizioni senza precedenti e di eventi estremi che attualmente rappresentano una quota sproporzionata degli impatti realizzati del cambiamento climatico. Ad esempio, le ondate di calore possono causare stress da calore e eccesso di mortalità sia per le persone che per il bestiame, stress agli ecosistemi, riduzione dei raccolti agricoli, difficoltà nel raffreddamento delle centrali elettriche e interruzioni nei trasporti. Allo stesso modo, le estremità di precipitazione possono provocare inondazioni e danni a insediamenti, infrastrutture, crops ed ecosistemi, aumento dell’erosione e riduzione della qualità dell’acqua. Pertanto, la società appare particolarmente vulnerabile a tassi elevati di cambiamento delle estremità, specialmente quando molti rischi aumentano simultaneamente.

Impatti della pulizia dell’aria e adattamento climatico: prospettive future

La dottoressa Laura Wilcox, coautrice presso l’Università di Reading, ha dichiarato: “Scopriamo anche che una rapida pulizia dell’inquinamento atmosferico, soprattutto in Asia, porta a incrementi accelerati e congiunti delle estremità calde e influenza i monsoni estivi asiatici. Sebbene la purificazione dell’aria sia fondamentale per motivi di salute, l’inquinamento atmosferico ha anche mascherato alcuni effetti del riscaldamento globale. Ora, la necessaria pulizia potrebbe combinarsi con il riscaldamento globale e provocare cambiamenti molto forti nelle condizioni estreme nei prossimi decenni.”

Mentre il nuovo studio si concentra sulla probabilità di cambiamenti rapidi, gli autori sottolineano che i risultati hanno importanti implicazioni per l’adattamento climatico. “Nel migliore dei casi, calcoliamo che i cambiamenti rapidi interesseranno 1,5 miliardi di persone. L’unico modo per affrontare questa situazione è prepararsi a un aumento significativamente più alto della probabilità di eventi estremi senza precedenti, già nei prossimi 1-2 decenni”, afferma il dottor Bjørn H. Samset del Cicero Center for International Climate Research. Samset ha contribuito allo studio recentemente pubblicato.

Patrimoni dell’umanità a rischio: l’allarme di Climate X

Secondo una lista stilata da Climate X, anche cinquanta Patrimoni dell’Umanità Unesco potrebbero scomparire entro i prossimi 25 anni a causa del cambiamento climatico. Questi tesori mondiali, che rappresentano la nostra storia e cultura collettiva, sono minacciati da fenomeni meteorologici sempre più estremi e imprevedibili.

Tra i capolavori iconici a rischio, vi sono non solo parchi costieri, ma anche monasteri buddhisti e le misteriose caverne preistoriche, che per millenni hanno custodito splendidi esempi di arte rupestre.

Non solo i luoghi del passato sono minacciati: alcune delle più grandi opere architettoniche contemporanee potrebbero presto dover affrontare eventi climatici estremi, mettendo a rischio le vestigia della nostra civiltà. Se non si interviene rapidamente, questi monumenti rischiano di essere ridotti a macerie, cancellando per sempre testimonianze uniche della creatività umana e della natura.

L’allarme di Climate X: la distruzione del patrimonio dell’umanità è imminente

Immaginare un mondo senza il Tempio del Sole di Konarak o senza la Sydney Opera House sembra quasi impossibile, così come appare assurdo pensare a una realtà priva delle pitture rupestri della Grotta di Pont d’Arc in Francia. Tuttavia, questo è lo scenario apocalittico che si prospetta se l’umanità continuerà a ignorare i numerosi avvertimenti degli scienziati di tutto il mondo sul cambiamento climatico.

Climate X, agenzia specializzata nell’analisi delle conseguenze del cambiamento climatico, ha condotto una delle indagini più approfondite mai realizzate, esaminando i 1.223 siti Unesco presenti nella lista dei Patrimoni mondiali dell’Umanità. Gli analisti si sono avvalsi di una piattaforma tecnologicamente avanzata, chiamata Spectra, capace di quantificare 16 diversi pericoli climatici che potrebbero manifestarsi nei prossimi 100 anni. Tra questi pericoli rientrano il surriscaldamento globale estremo, le inondazioni, i cicloni e l’erosione costiera.

I risultati della ricerca sono allarmanti: 50 siti Unesco rischiano di essere definitivamente distrutti entro i prossimi decenni, a meno che non vengano adottate misure urgenti di protezione e adattamento. L’ennesimo allarme è stato lanciato: stiamo distruggendo non solo il nostro pianeta, ma anche il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro.

Uno sguardo sui siti minacciati dal cambiamento climatico

Tra le vittime sacrificali di questa inarrestabile corsa verso l’abisso spicca un autentico capolavoro di ingegneria idraulica: il Subak di Bali, in Indonesia. Questo sistema di irrigazione agricola, risalente all’XI secolo, è uno dei più innovativi dell’epoca e oggi rischia di essere compromesso. Allo stesso modo, il Parco Nazionale Kakadu, in Australia, un vero e proprio patrimonio di biodiversità, potrebbe trasformarsi in un arido deserto a causa degli incendi sempre più frequenti e delle inondazioni.

Un altro esempio a rischio è l’Emporium of the World di Quanzhou, in Cina, che rappresenta un simbolo indelebile dell’importanza commerciale che la città aveva durante le dinastie Song e Yuan, quando era tra le più floride potenze marittime del Paese. Secondo le proiezioni, l’innalzamento del livello del mare potrebbe comprometterne gravemente l’esistenza.

Tra i siti sotto stretta osservazione si trovano anche il sistema montuoso svizzero dello Jungfrau-Aletsch, i monasteri buddhisti in Corea e l’Olympic National Park nello Stato di Washington. Il Regno Unito, invece, deve affrontare uno scenario particolarmente preoccupante: frane violente, tempeste e inondazioni costiere mettono a serio rischio quattro siti Unesco, tra cui il Forth Bridge in Scozia, l’Isola di Saint Kilda nell’arcipelago delle Ebridi, il villaggio settecentesco di New Lanark e lo Stadley Royal Park nello Yorkshire.

Questi luoghi rappresentano non solo patrimoni culturali e naturali inestimabili, ma anche testimonianze viventi della nostra storia. La loro possibile perdita è un chiaro segnale della necessità di azioni urgenti contro il cambiamento climatico.

Italia fuori dalla lista nera di Climate X, ma per quanto ancora?

Per il momento, il nostro Paese sembra essere immune dalla lista nera stilata da Climate X. Tuttavia, si tratta di un risultato incerto e provvisorio. Non c’è motivo di tirare un sospiro di sollievo, poiché la crisi climatica coinvolge tutti noi e nessun Paese può sentirsi veramente al sicuro.

I millenni di civiltà ci hanno insegnato che la storia non perdona, e allo stesso modo il clima non sarà clemente. La necessità di azioni concrete è più urgente che mai: il tempo per agire si sta rapidamente esaurendo.

L’impatto del cambiamento climatico sull’agricoltura italiana

Se i nostri Patrimoni sembrano essere per il momento salvi, lo stesso discorso non vale per l’agricoltura. Infatti, il cambiamento climatico sta già avendo un impatto negativo sul settore agricolo italiano, portando a una riduzione del valore aggiunto del -2,5% nel 2023. Questi dati allarmanti emergono dal rapporto dell’Istituto Tagliacarne, che sarà presentato durante AgriFood Future 2024, l’evento organizzato da Unioncamere e dalla Camera di Commercio di Salerno. La manifestazione, che mira a diventare un punto di riferimento nazionale per il settore agroalimentare, si svolge in vista del prossimo G7 Agricoltura.

AgriFood Future 2024, alla sua seconda edizione, ha preso il via oggi a Salerno e continuerà fino a martedì, offrendo un programma ricco di interventi, workshop e momenti di confronto su questioni cruciali per il futuro dell’agroindustria.

Dal rapporto annuale sull’agroalimentare italiano emergono dati preoccupanti: la produzione di vino ha subito un crollo del -17,4%, quella di frutta è diminuita dell’-11,2%, mentre il settore florovivaistico e quello dell’olio d’oliva hanno registrato cali rispettivamente del -3,9% e del -3%. Questi numeri evidenziano l’urgente necessità di affrontare il cambiamento climatico e le sue conseguenze sul settore primario italiano.

Una doppia faccia del cambiamento: l’agricoltura italiana tra crisi e opportunità

Mentre il cambiamento climatico incide negativamente su molte produzioni agricole italiane, portando a cali significativi nel settore vitivinicolo e frutticolo, è interessante notare come alcune colture abbiano mostrato una certa resilienza. Le colture industriali (+10,2%) e i cereali (+6,6%) hanno infatti registrato un’annata favorevole, suggerendo una certa capacità di adattamento a condizioni climatiche più estreme.

Tuttavia, questa apparente contraddizione non deve farci abbassare la guardia. Il rapporto dell’Istituto Tagliacarne, realizzato in collaborazione con Unioncamere, ci ricorda che l’agrifood continua a essere un pilastro fondamentale dell’economia italiana, rappresentando il 27% del fatturato delle imprese nazionali e raggiungendo addirittura il 29% nel Mezzogiorno. Nonostante ciò, il peso economico del settore sembra stabilizzarsi (4,2% del valore aggiunto totale), con una leggera prevalenza dell’alimentare (2,0%) sull’agricoltura (2,2%).

Questa situazione ci pone di fronte a una sfida complessa: da un lato, dobbiamo affrontare le conseguenze del cambiamento climatico e sostenere le produzioni più colpite; dall’altro, dobbiamo valorizzare le potenzialità delle colture più resilienti e promuovere un modello di agricoltura sempre più sostenibile e innovativo.

È evidente che il futuro dell’agricoltura italiana dipenderà dalla nostra capacità di adattarci ai nuovi scenari climatici e di cogliere le opportunità offerte da un mercato sempre più attento alla qualità e alla sostenibilità dei prodotti.

Le imprese agricole italiane investono nella tecnologia per affrontare il cambiamento climatico

Consapevoli della crescente minaccia rappresentata dal cambiamento climatico, oltre l’80% delle imprese agricole sul territorio nazionale e il 90% nel Mezzogiorno ha investito in tecnologie per ridurre o annullare l’impatto ambientale. A sottolinearlo è il presidente di Unioncamere, Andrea Prete, che evidenzia come l’innovazione tecnologica sia ormai essenziale per il futuro dell’agricoltura italiana.

Secondo Prete, il 54,5% delle aziende del settore ha già implementato impianti per la produzione di energia rinnovabile, una quota che sale al 64,4% nel Sud, dimostrando una crescente attenzione verso le fonti energetiche sostenibili.

La sfida del cambiamento climatico richiede un’azione rapida e decisa, specialmente nel Mezzogiorno, dove le imprese devono attrezzarsi con l’ausilio della tecnologia per affrontare i fenomeni climatici sempre più estremi. “Ad Agrifood Future”, continua Prete, “cercheremo di fornire strumenti concreti alle imprese per favorire questo necessario cambiamento e garantire la resilienza del settore agroalimentare”.

La trasformazione dell’agricoltura italiana: meno imprese, più professionalizzazione

Negli ultimi 40 anni, l’agricoltura italiana ha subito una drastica riduzione del numero di imprese, con un calo del -66%. Questo fenomeno si è accentuato negli ultimi due decenni, in gran parte a causa delle difficoltà delle piccole aziende nel mantenere la sostenibilità economica. Tuttavia, mentre molte piccole realtà hanno chiuso, si è registrato un aumento del 15,1% delle società di capitali nel settore agricolo. Questo dato indica un processo di trasformazione e professionalizzazione dell’intero comparto.

Un altro segnale positivo è rappresentato dall’investimento nelle competenze professionali. Il 64,5% delle aziende agricole ha investito nel miglioramento delle competenze tecnico-professionali del proprio personale, mentre il 44,9% ha puntato su nuove competenze, dimostrando che la formazione è ormai vista come uno strumento cruciale per affrontare le sfide future. Questi cambiamenti riflettono l’evoluzione verso un’agricoltura più strutturata e competitiva, in grado di rispondere alle nuove esigenze del mercato e ai problemi globali come il cambiamento climatico.

Prospettive di crescita per il settore agroalimentare del Mezzogiorno

L’indagine traccia un quadro promettente per il futuro del settore agroalimentare nel Mezzogiorno. Circa il 40% delle imprese intervistate prevede un aumento del fatturato entro il 2025. Questo dato è un segnale incoraggiante che indica una crescente fiducia degli operatori del settore nelle proprie prospettive di crescita.

La spinta verso l’alto è alimentata da una serie di fattori, tra cui l’attenzione sempre maggiore verso la digitalizzazione e le tecnologie avanzate. Sempre più aziende stanno investendo in soluzioni innovative per migliorare la produttività, la qualità dei prodotti e la tracciabilità lungo tutta la filiera.

Inoltre, cresce la consapevolezza dell’importanza della responsabilità ambientale. Le imprese stanno adottando pratiche agricole sostenibili, riducendo l’impatto ambientale e valorizzando le produzioni locali e di qualità. Questo trend è favorito anche dalla crescente domanda da parte dei consumatori, sempre più attenti all’origine dei prodotti e alla loro impronta ecologica.

In sintesi, il settore agroalimentare del Mezzogiorno si presenta come un comparto dinamico e in continua evoluzione. La crescita prevista per i prossimi anni, unita all’impegno verso la sostenibilità e l’innovazione, apre prospettive interessanti per lo sviluppo economico delle regioni meridionali e per il consolidamento del made in Italy agroalimentare a livello internazionale.

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