A partire da martedì tutto quello che si guadagnerà si terrà per sé. Il 7 giugno scatta infatti il cosiddetto “Tax Freedom Day“, cioè il “giorno di liberazione fiscale“, la soglia indicativa che individua per quanti giorni il contribuente medio in Italia ha bisogno di lavorare per pagare tutte le tasse: 157, inclusi i sabati e le domeniche. Come spiega l’Ufficio studi della Cgia di Mestre che ha fatto i calcoli, la ricorrenza rappresenta “un puro esercizio teorico che serve a dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, l’eccessivo peso fiscale che grava sugli italiani”.
In altre parole ogni singolo lavoratore deve lavorare più del 50% dell’anno (ossia fino al 7 giugno) per pagare le tasse. In molti considerano un socio al 50% l’erario, al quale è necessario versare una buona parte del frutto del proprio lavoro. Quest’anno con il 7 giugno finalmente si lavora per se stesi.
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Tax freedom day, cos’è
La data della “liberazione” dalle tasse arriva un giorno prima rispetto al 2021, anno che ha fatto registrare il record storico di pressione fiscale, non per un aumento dei prelievi, ma dovuto al rimbalzo del Pil nazionale oltre il 6,5 per cento, che ha provocato una crescita repentina delle entrate per famiglie e aziende, dopo il crollo del 2020 al -9% per effetto della pandemia.
I calcoli dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre si basano, infatti, sulla suddivisione della stima Pil annuo nazionale per i 365 giorni dell’anno, così da ottenere ottenere un dato medio giornaliero messo poi in rapporto con le previsioni di gettito dei contributi previdenziali, delle imposte e delle tasse che i percettori di reddito verseranno quest’anno.
Nel 2021 l’Italia si è posizionata al sesto posto in Europa tra i Paesi con la maggiore pressione fiscale con il 43,5% di tasse pagate dai contribuenti, dietro soltanto a Svezia (43,7%), Austria (43,8%), Belgio (44,9%), Francia (47,2%) e Danimarca (48,1%) che guida la classifica.
Se in confronto alle potenze economiche Germania e Spagna hanno fatto registrare percentuali migliori, rispettivamente del 42,5% e del 38,8%, la media tra i membri dell’Ue l’anno scorso è stata invece del 41,5%, due punti in meno rispetto a noi.
Se si passa in rassegna la serie storica, il “giorno di liberazione fiscale” è arrivato per prima nel 2005, quando la pressione fiscale fu del 39% e ai contribuenti italiani fu sufficiente lavorare per 142 giorni, fino al 23 maggio, per adempiere alle scadenze fiscali.
Le previsioni sulla pressione fiscale per il 2022
Grazie alla crescita stimata del Pil del 2,5%, si attende nel 2022 una diminuzione della pressione fiscale di 0,4 punti percentuali, per merito anche della riduzione delle imposte e dei contributi decisa dal governo Draghi, tra cui la riforma dell’Irpef (-6,8 miliardi di gettito), l’esonero contributivo di 0,8 punti percentuali ai lavoratori dipendenti con una retribuzione mensile sotto 2.692 euro (-1,1 miliardi), l’esonero dall’Irap per le persone fisiche (-1 miliardo).
Secondo le stime del ministero dell’Economia, considerando il leggero miglioramento in corso delle principali variabili economiche, che si riflette sull’andamento del gettito, lo Stato dovrebbe incassare quest’anno quasi 40 miliardi di imposte e contributi in più rispetto al 2021, una parte portata anche dal forte aumento dell’inflazione tra il 6 e il 7%.