Niente detrazioni per eventi e cene, sono spese di rappresentanza: la sentenza

La Corte di Cassazione interviene a gamba tesa sui costi per organizzare gli eventi, che non si possono detrarre dalle tasse: cosa cambia

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Eventuali costi che un’azienda o un libero professionista sostengono per organizzare delle manifestazioni o dei premi devono essere considerati come spese di rappresentanza. Non possono rientrare tra le spese di pubblicità. Questa distinzione è molto importante, perché, stando quanto previsto dall’articolo 19-bis del Dpr n. 633/1972, non è possibile detrarre l’Iva connessa a questa tipologia di operazione.

A fare il punto della situazione sulla questione ci ha pensato la Corte di Cassazione attraverso l’ordinanza n. 25144 del 13 settembre 2025.

Cosa sono le spese di rappresentanza

Prima di addentrarci nel caso finito sulla scrivania dei giudici della Suprema Corte, è opportuno soffermarsi un attimo su cosa siano le spese di rappresentanza.

Sono dei costi che i professionisti e le imprese sostengono per promuovere l’immagine aziendale e migliorare le relazioni pubbliche. E che servono, almeno potenzialmente, a generare dei benefici economici futuri.

Una delle caratteristiche principali delle spese di rappresentanza è quella di non prevedere una contro prestazione immediata da parte dei destinatari.

Quali sono le caratteristiche principali

Stando a quanto è previsto dalla normativa fiscale italiana, un costo per poter essere considerato una spesa di rappresentanza deve avere alcuni requisiti ben specifici:

Significa che il destinatario del bene o del servizio (es. l’invitato a una cena) non deve effettuare alcun tipo di pagamento. I costi sostenuti poi devono essere inerenti all’attività dell’impresa e devono rispondere a criteri di ragionevolezza in funzione dell’obiettivo che l’impresa si è posta.

Tra le spese di rappresentanza rientrano:

Quali spese di rappresentanza si possono detrarre

Le spese di rappresentanza sono deducibili entro limiti ben precisi e non nella loro totalità:

Rispetto a quello che abbiamo visto c’è un’eccezione. Gli omaggi del valore unitario inferiore a 50 euro sono, almeno nella maggior parte dei casi, deducibili al 100%. L’Iva non è detraibile.

Il caso analizzato dalla Cassazione

Le premesse che abbiamo visto fino a questo momento ci fanno comprendere meglio il caso finito sulla scrivania dei giudici della Suprema Corte.

L’intera vicenda si basa su un atto di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate con lo scopo di recuperare l’Iva indebitamente detratta da una società per azioni.  L’imposta riguardava alcune fatture che documentavano spese sostenute per l’organizzazione di una serie di manifestazioni a premi.

Il problema ruota intorno alla corretta qualificazione delle spese sostenute: la società riteneva che si trattasse di spese pubblicitarie, mentre secondo gli uffici del Fisco si trattava di spese di rappresentanza.

Come abbiamo visto in precedenza per questi ultimi costi non è possibile portare l’Iva in detrazione (almeno secondo quanto previsto dall’articolo 19 bis del Testo Unico sull’Imposta sul Valore Aggiunto).

La Ctp di Verona e la Ctr del Veneto (con decisione 968/2022) avevano sostanzialmente accolto il punto di vista della società. Nella sentenza in appello, infatti, si leggeva che le spese contestate avevano:

Una forte caratterizzazione commerciale che consente di assimilarle alle spese pubblicitarie.

Non soddisfatta, l’Agenzia delle Entrate aveva deciso di presentare ricorso in Cassazione, sostenendo la violazione del già citato articolo 19-bis.

In questa sede l’AdE aveva sostenuto che le spese di rappresentanza hanno una caratteristica intrinseca: la promozione. E, soprattutto, devono essere gestite con ragionevolezza e coerenza nel rispetto del soggetto che le sostiene.

La decisione della Suprema Corte

I giudici della Corte di Cassazione, nel rimettere mano alla pratica, hanno richiamato l’articolo 1, comma 1, del Decreto del Mef del 19 novembre 2008, secondo il quale vengono ritenuti inerenti i costi sostenuti per finalità promozionali o pubbliche relazioni, che possano generare dei benefici economici per l’azienda.

Per inquadrare meglio la vicenda sono state richiamate tre diverse pronunce della Suprema Corte (la n. 10440/2021, la n. 10781/2023 e la n. 14049/2023) attraverso le quali è stato delineato un preciso criterio per distinguere le spese di rappresentanza e quelle di pubblicità, che si incentra sull’obiettivo che viene perseguito.

Attraverso le spese di rappresentanza si vuole accrescere il prestigio e la fama dell’impresa. L’aspettativa non è una crescita delle vendite, se non in modo indiretto, attraverso l’aumento della notorietà e dell’immagine.

Le spese di pubblicità servono a promuovere i prodotti e i servizi che l’impresa commercializza. Vengono esaltate le loro caratteristiche e la loro idoneità a soddisfare le esigenze concrete della clientela.

Questo orientamento ha recepito le conclusioni della Corte di Giustizia europea – causa Cgue 17 novembre 1993, causa C-68/92 – che aveva sottolineato che nella nozione di pubblicità è implicita la diffusione di un messaggio finalizzato a informare i consumatori sull’esistenza e la qualità di un prodotto o servizio, con l’intento di aumentarne immediatamente le vendite.

La Corte di Cassazione, in estrema sintesi, ha voluto dare continuità a un filone giurisprudenziale, che ha posto un confine netto tra le spese di rappresentanza e quelle di pubblicità sull’obiettivo che l’azienda vuole raggiungere sostenendo i relativi costi.

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