Per il 2024 è già definito il sistema a tre aliquote dell’Irpef, mentre il panorama per il 2025 è ancora in fase di definizione e sarà influenzato dai lavori già in corso. Un ulteriore riduzione delle aliquote dell’Irpef potrebbe portare ad un aumento dei redditi e delle buste paga di alcuni centinaia di euro all’anno. Il governo sta attualmente lavorando su questo e sta cercando le risorse necessarie, con l’intenzione di favorire soprattutto la fascia medio-alta, ossia coloro che percepiscono un reddito annuo di circa 50mila euro. Il destino della riduzione dell’Irpef è collegato ad un’altra iniziativa: il concordato biennale per le partite Iva. Maggiore sarà l’apporto di risorse da questa direzione, maggiore sarà l’impegno del governo nella riduzione dell’Irpef. Questo è quanto afferma il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo. Tuttavia, se si passasse da tre a due aliquote, quali sarebbero le effettive conseguenze sulle buste paga e chi ne trarrebbe vantaggio?
Com’è cambiato il decreto
Quest’anno, limitatamente al 2024, il governo ha deciso di ridurre le aliquote fiscali da quattro a tre, unendo la percentuale del 25% a quella del 23%. Questa iniziativa ha un costo di 4 miliardi di euro ma fornisce un vantaggio fiscale di 260 euro all’anno per i contribuenti. Maurizio Leo non solo mira a confermare questo taglio anche per il 2025, ma vuole estenderlo ulteriormente.
L’obiettivo, con il prossimo aggiornamento della riforma Irpef, è di favorire la classe medio-alta, coloro che hanno un reddito intorno ai 50.000 euro. Questa fascia di reddito è stata penalizzata dal recente taglio dell’Irpef introdotto nella precedente manovra finanziaria, poiché è stata introdotta una franchigia sulle detrazioni di esattamente 260 euro, che ha escluso questi redditi dal beneficio della riduzione delle tasse. In altre parole, per coloro che guadagnano più di 50.000 euro, il vantaggio derivante dal taglio dell’Irpef di quest’anno si riduce fino a scomparire del tutto.
La riforma fiscale proposta da Leo include un meccanismo di “autofinanziamento”. Tutte le misure che generano introiti fiscali vengono accantonate in un fondo apposito, destinato a finanziare le azioni che comportano costi, come ad esempio il taglio dell’Irpef. Questo fondo è stato già alimentato dalla soppressione di una misura destinata alle imprese, l’ACE, che era un incentivo alla crescita economica introdotto dieci anni fa per favorire la capitalizzazione delle aziende. Grazie alla cancellazione di quest’ultima, il fondo potrà contare su una somma di 3,5 miliardi di euro per il 2025 e circa 2,7 miliardi di euro all’anno a partire dal 2026.
Tuttavia, nonostante sia una somma significativa, non è sufficiente. Per questo motivo, nel fondo destinato al taglio delle tasse, sarà necessario includere anche gli introiti che saranno recuperati alle casse dello Stato grazie all’adozione del concordato preventivo per le Partite Iva.
Come doveva essere il decreto: le modifiche
Nella versione iniziale del decreto, si prevedeva un aumento significativo degli introiti per lo Stato grazie al concordato, stimato intorno a 1,8 miliardi di euro. Questa cifra derivava principalmente dal fatto che l’accesso al concordato sarebbe stato consentito solo a coloro che avessero ottenuto un voto di almeno “8” negli ISA (le valutazioni fiscali fornite dall’Agenzia delle Entrate). L’intenzione di questo requisito era di garantire che solo le partite Iva con una solida posizione finanziaria potessero beneficiare del concordato, evitando così possibili abusi o manipolazioni dei dati.
Tuttavia, durante il passaggio parlamentare, il requisito del voto minimo è stato eliminato. Questo cambiamento potrebbe aumentare ulteriormente gli introiti per lo Stato, poiché consentirebbe a un numero maggiore di partite Iva di aderire al concordato. Gli effetti precisi di questa modifica saranno noti solo dopo il 15 ottobre, che è la data limite per accettare o rifiutare la proposta del Fisco. Solo alcuni giorni dopo, con l’approvazione della manovra del governo, si potrà valutare se gli introiti derivanti dal concordato saranno sufficienti per proseguire con il taglio delle tasse o se saranno necessarie ulteriori misure per garantire il finanziamento delle politiche fiscali.
Chi ci guadagna e chi ci perde
Secondo Leo, l’obiettivo del governo a partire dal 2025 è quello di implementare un sistema a due aliquote, in contrasto con la decisione appena presa riguardo al taglio delle detrazioni per i redditi superiori a 50.000 euro. Leo ha spiegato che in futuro si intende proteggere questa fascia di reddito, sottolineando che un contribuente con poco più di 50.000 euro di reddito non può essere considerato iper-ricco e che pagare il 43% di tasse è eccessivo. Si ritiene quindi necessario considerare gradualmente le necessità di questo gruppo di contribuenti. Leo ha concluso che senza una riduzione del carico fiscale, il progresso del Paese sarà compromesso.
Il governo mira quindi a ridurre il carico fiscale per le fasce di reddito medio-alte. Questo può essere realizzato riducendo l’aliquota massima del 43% o spostandola verso livelli di ricchezza più elevati. Si potrebbe considerare di accorpare o avvicinare le prime due aliquote (23% e 35%), mantenendo quella al 43% per i redditi sopra una soglia più elevata, ad esempio tra i 70.000 e gli 80.000 euro. In alternativa, si potrebbero accorpare la seconda e la terza aliquota, riducendo leggermente la terza e aumentando lievemente la seconda, magari intorno al 38-40%. Tuttavia, per evitare un impatto eccessivamente negativo sui redditi più alti, sarebbe necessario ideare nuovi meccanismi di taglio delle detrazioni.
Queste operazioni potrebbero consentire a coloro che percepiscono uno stipendio o un reddito superiore a 28.000 euro all’anno di ottenere un aumento (anche in busta paga) di diverse centinaia di euro all’anno. Tuttavia, sarebbero molto onerose per le casse dello Stato e le risorse attualmente non sono disponibili. Per questo motivo, l’intervento rimane per ora in stand-by.
Riguardo alla recente riforma fiscale appena entrata in vigore, va notato che il nuovo sistema non garantirà benefici alla maggioranza dei contribuenti con un reddito superiore ai 50.000 euro all’anno. Tuttavia, come precedentemente sottolineato, assicurerà un risparmio di 260 euro a coloro che superano di gran lunga questa soglia, percependo redditi a partire da 240.000 euro annui. Anche se si tratta di una platea limitata, è importante considerare eventuali correttivi. La recente circolare dell’Agenzia delle Entrate espone chiaramente i dettagli della misura che riduce da quattro a tre le aliquote dell’Irpef, confermando così la necessità di futuri interventi per riequilibrare la situazione a favore della classe media, come evidenziato dal viceministro dell’Economia, Maurizio Leo.
Come funziona il nuovo sistema a tre aliquote
Il decreto legislativo approvato alla fine del 2023, che costituisce la prima fase della riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, ha stabilito, è importante sottolinearlo, unicamente per l’anno 2024 un sistema a tre aliquote. Questo sistema prevede l’accorpamento della prima e della seconda aliquota, entrambe portate al 23% per i redditi fino a 28.000 euro lordi. Il vantaggio di questa modifica, per coloro che dichiarano un reddito imponibile pari o superiore a questa soglia, ammonta a 260 euro all’anno. Tale beneficio corrisponde alla riduzione di due punti percentuali dell’aliquota per l’intero intervallo di reddito compreso tra 15.000 e 28.000 euro e rimane invariato fino a 50.000 euro.
Al di sopra di questa soglia, la situazione si modifica e il vantaggio rischia di ridursi o annullarsi nella maggior parte dei casi. Il governo, con l’obiettivo di ridurre il costo della riforma per le casse dello Stato, ha introdotto una franchigia sulle detrazioni. Questo significa che le spese sostenute dal contribuente e che possono essere inserite nella dichiarazione dei redditi (dal costo delle medicine agli abbonamenti del trasporto pubblico), riducendo così l’imposta netta da pagare, saranno soggette a un trattamento diverso.
Con riferimento alla dichiarazione dei redditi di quest’anno, per coloro che guadagnano oltre 50.000 euro, lo Stato tratterrà i primi 260 euro di detrazioni, che pertanto si sottrarranno effettivamente dalle tasse solo oltre quella soglia di reddito. È importante notare che la franchigia non si applicherà a tutte le detrazioni, ma solo a quelle spese detraibili al 19% (ad eccezione di quelle sanitarie), alle erogazioni per i partiti politici e ai premi assicurativi per rischi legati ad eventi calamitosi.
Perchè conviene la detrazione al 19%
Le detrazioni al 19% rappresentano una delle agevolazioni fiscali più diffuse, comprendendo vantaggi significativi come quelli sugli interessi dei mutui, che possono arrivare fino a un massimo di 4.000 euro per l’acquisto e fino a 2.582 euro per la costruzione o la ristrutturazione dell’abitazione principale. In aggiunta, la detrazione sugli intermediari è altrettanto vantaggiosa, consentendo fino a 1.000 euro di sgravio fiscale per coloro che hanno utilizzato un’agenzia immobiliare per l’acquisto della propria prima casa. Senza dimenticare le detrazioni per le spese universitarie e altre voci, queste agevolazioni rappresentano un sostegno importante per molti contribuenti.
Tuttavia, un elemento da considerare è l’effetto di una norma introdotta alcuni anni fa che comporta una progressiva riduzione delle detrazioni al di sopra dei 120.000 euro di reddito annuo, fino alla completa eliminazione al di sopra dei 240.000 euro. Questo scenario crea un paradosso quando combinato con le recenti modifiche del 2024. Per coloro che superano i 240.000 euro di reddito, l’importo totale detraibile viene azzerato e la franchigia non può più essere applicata. Di conseguenza, mentre chi guadagna 50.000 euro e può detrarre, per esempio, 500 euro tra interessi del mutuo e costi dell’agenzia immobiliare, non otterrà alcun nuovo beneficio fiscale, chi supera i 240.000 euro di reddito pagherà comunque 260 euro in meno rispetto all’anno precedente.
Questa situazione riguarda una platea limitata, composta da meno di centomila persone, per le quali un modesto “regalo” fiscale probabilmente avrà un impatto limitato. Tuttavia, il contrasto evidente con il trattamento riservato ai redditi molto più bassi mette in luce le disuguaglianze presenti nel sistema fiscale, sottolineando la necessità di considerare con attenzione le implicazioni di tali normative sui diversi segmenti della popolazione.