Il dubbio è il peggior compagno di viaggio per qualsiasi contribuente. In questo contesto l’incertezza normativa tributaria rappresenta uno dei principali problemi da affrontare nelle pratiche fiscali. Soprattutto quando si ha intenzione di gestirle in modo corretto e scrupoloso.
I problemi maggiori iniziano a sorgere nel momento in cui una qualsivoglia norma presenti delle ambiguità interpretative, tali da rendere difficile comprendere quale debba essere il comportamento corretto da seguire. Il legislatore, proprio per tutelare il contribuente onesto, ha introdotto una serie di tutele specifiche, in modo da non complicare ulteriormente la loro posizione.
Quando si è di fronte a un caso di incertezza normativa tributaria, non vengono applicate le consuete sanzioni: si vogliono tutelare, in questo modo, i contribuenti che agiscono in buona fede, evitando che vengano puniti a fronte di una difficoltà oggettiva di interpretazione di una disposizione fiscale.
Indice
Incertezza normativa tributaria, quando si applica
Il legislatore ha previsto una serie di norme a tutela dei contribuenti e che determinano la non applicabilità delle sanzioni amministrative, nel momento in cui ci sia un’incertezza normativa tributaria.
Entrando un po’ più nello specifico, l’articolo 6, comma 2, del Dlgs 472/1997 prevede esplicitamente che non risulta essere perseguibile il soggetto che abbia commesso una violazione determinata da:
Obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento.
Questa disposizione risulta essere molto importante, in quanto conferisce una certa rilevanza non solo all’eventuale incertezza di una norma tributaria, ma anche agli eventuali atti amministrativi che ne dovessero derivare. In questa voce rientrano eventuali richieste di informazioni, i modelli per le dichiarazioni e le richieste di pagamento.
A cosa si riferisce la tutela
La tutela a cui può accedere il contribuente si riferisce esclusivamente agli istituti sanzionatori. Il contribuente è sempre obbligato a versare il tributo, ma non è tenuto a pagare eventuali sanzioni amministrative nel caso in cui la violazione sia stata determinata da un’oggettiva incertezza interpretativa.
La buona fede ha un fondamento normativo
Nel diritto tributario, purtroppo, non è stato codificato in modo adeguato il principio della buona fede. Ma viene applicato per traslazione dai principi generali dell’ordinamento italiano. Ricordiamo, infatti, che l’articolo 1375 del Codice Civile ha stabilito che ogni contratto deve essere redatto ed eseguito rispettando i principi della buona fede: la giurisprudenza ha esteso questo principio ai rapporti di diritto privato, nei quali rientrano anche quelli tributari.
Seguendo un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha chiarito che il principio della buona fede può essere applicato anche nei rapporti tributari: l’amministrazione finanziaria ed i singoli contribuenti, in questo modo, sono stati sostanzialmente vincolati.
Con la sentenza n. 19667/2008 le Sezioni Unite della Cassazione hanno ribadito che:
Il principio di buona fede oggettiva trova applicazione anche nei rapporti di diritto tributario, imponendo ad entrambe le parti di astenersi da comportamenti sleali o contraddittori.
A sancire il principio costituzionale della buona fede è l’articolo 97 della Costituzione, il quale impone all’Agenzia delle Entrate di mantenere il principio della coerenza interpretativa e, soprattutto, di non andare a ledere l’affidamento legittimo dei contribuenti.
Incertezza normativa, di cosa si tratta
Ma in quale occasione non vengono applicate le sanzioni tributarie? A fornire una risposta in questo senso ci ha pensato la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1312 del 20 gennaio 2025, che ha esplicitamente chiarito che la disapplicazione avviene a seguito di:
Una rigorosa verifica delle condizioni di impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica applicabile.
È importante sottolineare – come ha previsto sempre la Cassazione con la sentenza n. 14987 del 25 giugno 2009 – che l’incertezza non deve essere rilevata soggettivamente dal singolo contribuente, ma oggettivamente dal giudice: quest’ultimo, infatti, è l’unico attore dell’ordinamento al quale è attribuito il potere di verificare ed accertare se una determinata interpretazione sia ragionevole.
Come deve fare il contribuente per difendersi
Spetta al contribuente l’onere della prova. In altre parole deve dimostrare – nel momento in cui vengano accertate delle violazioni – la presenza di un’incertezza interpretativa oggettiva. Non è necessaria alcuna richiesta da parte dell’Agenzia delle Entrate o di altri uffici interessati dalla pratica.
Ma come si fa a dimostrare che una determinata norma è confusa e pone dei problemi interpretativi? Il contribuente deve muoversi come segue:
- prima di tutto deve documentare in modo preciso e dettagliato gli elementi di confusione normativa;
- deve raccogliere i precedenti giurisprudenziali contrastanti sullo stesso argomento;
- deve mettere in evidenza eventuali contrasti nella prassi amministrativa;
- dovrà, poi, dimostrare che mancano degli orientamenti consolidati;
- dovrà, infine, allegare la documentazione ufficiale dell’amministrazione tributaria attraverso la quale emerge l’incertezza.
L’importanza dell’interpello preventivo
Il contribuente, inoltre, ha la facoltà di ricorrere all’istanza di interpello ordinario nel momento in cui vi siano le condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni tributaria (a prevederlo è l’articolo 11 della Legge n. 212/2000).
Questo ci porta ad un principio molto importante: nel momento in cui l’Agenzia delle Entrate ritiene che un interpello sia ammissibile riconosce, allo stesso tempo, che sono presenti delle condizioni di obiettiva incertezza. A questo punto eventuali violazioni che il contribuente ha commesso in precedenza sulla stessa questione interpretativa non dovrebbero essere punibili: quando un interpello viene accettato esiste l’incertezza normativa.
Quanto abbiamo visto fino a questo momento, però, non si viene a configurare nel momento in cui si è venuto a formare un orientamento giurisprudenziale pressoché univoco. Non hanno alcun valore l’ignoranza soggettiva o la difficoltà soggettiva a comprendere le disposizioni tributarie.
Ricordiamo, infine, che l’articolo 10, comma 3 dello Statuto del Contribuente prevede che:
In ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria.