Da più parti stanno arrivando in questi giorni segnalazioni relative ad alcuni prodotti alimentari che iniziano a scarseggiare anche in Italia a causa del blocco alle esportazioni dall’Ucraina per via della guerra (qui i principali). Il problema è diventato così serio, e messo sul tavolo da sia dalle maggiori associazioni imprenditoriali del settore agroalimentare sia dalla grande distribuzione organizzata sia, non da ultimo, da tutti noi consumatori, che per fare chiarezza è intervenuto direttamente il Ministero della Salute con una circolare, relativa proprio alle criticità determinate dalla sospensione delle esportazioni di alcuni alimenti da Kiev.
Perché per l’Italia l’olio di girasole è così importante
Tra questi, una delle difficoltà più grandi riguarda l’olio di semi di girasole, che rappresenta la base essenziale di numerosi prodotti alimentari italiani, quali ad esempio tonno, pasta ripiena, sughi, fritture, biscotti, maionese, creme spalmabili.
L’Ucraina detiene il 60% della produzione e il 75% dell’export e rappresenta il principale coltivatore di girasoli al mondo. Entro un mese, con l’attuale andamento dei consumi, le scorte di olio di semi di girasole sono destinate ad esaurirsi. La situazione potrebbe anche complicarsi ulteriormente, se il conflitto dovesse proseguire, perché salterebbe la semina, prevista in primavera.
Ad annunciarlo è proprio il Ministero nella sua circolare. Secondo le stime attuali, entro breve termine, questo olio non sarà più disponibile e le imprese dovranno quindi riformulare i propri prodotti.
Quando non lo troveremo più nei supermercati
Sul tema è intervenuto anche, ai microfoni di Radio24, l’ad della Conad, Francesco Pugliese. “Non c’è alcuna giustificazione nella corsa agli accaparramenti dei prodotti alimentari e non c’è nessun problema nell’approvvigionamento delle merci” ha detto parlando in generale rispetto alla psicosi scattata in moltissime città. “Sembra di essere ritornati indietro di due anni, all’isteria che esplose all’inizio del primo lockdown: ma anche allora problemi di approvvigionamento non ce ne furono”.
La vera carenza, spiega, riguarderà l’olio di semi di girasole, che non solo in Italia ma anche in tutta Europa, “scomparirà dagli scaffali entro circa 20 giorni” annuncia.
Pugliese specifica comunque che per le famiglie “non sarà un grosso problema”: l’olio di girasole, utilizzato essenzialmente per le fritture, potrà essere sostituito da altri prodotti simili. Il problema, invece, sarà più grave per l’industria alimentare, perché l’olio di semi di girasole è usato come addensante e componente di molti prodotti, come nel caso del biscottame e dei sottolii. “Tutta l’industria sta procedendo alla sostituzione di quest’olio e, udite udite, uno dei sostituti sarà il tanto discusso e bistrattato olio di palma” (di olio si parla in questi giorni anche in merito alle sconsigliatissime “alternative” al diesel, con grandi rischi e multe, ve ne abbiamo parlato qui).
Torna l’olio di palma: ma fa male o no?
La domanda che tutti ci facciamo da tempo, e a questo punto ritorna prepotente, è: ma l’olio di palma fa davvero male? Fa venire il cancro? La risposta la troviamo sul sito dell’AIRC, Associazione Italiana per la Ricerca contro il Cancro. Che alla domanda: “L’olio di palma contiene composti cancerogeni che possono aumentare il rischio di sviluppare un tumore?”, risponde così: “Sì, ma con una normale alimentazione è molto difficile raggiungere le quantità che aumenterebbero davvero in modo misurabile il rischio individuale di sviluppare un tumore“.
Secondo l’EFSA la soglia tollerabile, prima fissata a 0,8 microgrammi per chilo al giorno, dal 2018 è salita a 2 microgrammi per chilo al giorno.
E’ vero che l’olio di palma contiene elevate quantità di acidi grassi saturi, pericolosi per la salute di arterie e cuore. E uno studio pubblicato nel 2016 dall’EFSA segnala anche che a temperature superiori ai 200 °C questi olii sviluppano sostanze che, ad alte concentrazioni, sono genotossiche, ovvero possono mutare il patrimonio genetico delle cellule.
Ma, scrive sempre l’AIRC, l’EFSA non ha mai chiesto il bando dell’olio di palma perché è difficile che concentrazioni pericolose siano raggiunte con la normale alimentazione. Inoltre, nello stesso studio si nota che negli ultimi anni il contenuto di queste sostanze nei prodotti industriali è drasticamente diminuito poiché le industrie hanno modificato i propri processi produttivi. Dunque “è consigliabile non abusare di cibi contenenti olio di palma, ma non c’è alcun motivo ragionevole per eliminarli del tutto”.
Il problema dell’olio di palma è piuttosto il suo impatto sull’ambiente per via della sua coltivazione, considerata molto poco sostenibile.
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Il vero problema: non le quantità, ma i prezzi
Olio di palma a parte, l’allerta riguarda anche e soprattutto il fronte dei prezzi. Pugliese si dice preoccupato per l’alta inflazione attuale, dovuta principalmente alla pandemia e peggiorata con l’aumento dei costi dell’energia.
E lancia un allarme sull’impatto che il tutto avrà sui prezzi: “Non credo affatto nell’eventuale carenza di grano, così come non ritengo che ci sarà una carenza dei prodotti nei supermercati. Qui il vero problema nel nostro Paese è un altro, e cioè come intervenire per ridurre questi impatti inflattivi sulle famiglie. Non è una questione di disponibilità dei beni, ma di prezzi”.
Interviene il Ministero: cosa cambia in negozi e supermercati
Il Ministero della Salute ha posto poi un’altra questione. Oltre al problema dell’approvvigionamento e dell’individuazione e impiego dei possibili sostituti, è necessario individuare soluzioni per risolvere il problema delle etichette, che andrebbero aggiornate riportando gli ingredienti che sostituiscono l’olio di semi di girasole, proprio come prevede il regolamento UE 1169/2011.
Visto che le etichette e gli imballaggi ordinati e utilizzati dalle imprese riportano tra gli ingredienti “olio di girasole”, tenuto conto della difficoltà a provvedere in tempi rapidi alla stampa di nuove etichette e dei relativi costi, e in considerazione della complessità del quadro attuale, è necessario individuare una soluzione che presenti alti profili di sicurezza per i consumatori e al tempo stesso non gravi eccessivamente sui produttori in un momento di grande criticità per il settore.
Per questo motivo, e soltanto in via transitoria, in vista dell’adeguamento progressivo delle etichette, i produttori potranno prevedere l’introduzione, attraverso il getto d’inchiostro o altri sistemi equivalenti (es. sticker adesivi), di una frase che indichi quali oli e/o grassi siano stati impiegati in sostituzione dell’olio di girasole, segnalando l’eventuale presenza di allergeni.
I claim che indicano la presenza o assenza di determinati oli vegetali o claim comparativi, in caso di sostituzione dell’olio di girasole, dovranno essere opportunamente modificati, eventualmente tramite etichettatura aggiuntiva o altra analoga modalità, per garantire la corretta informazione dei consumatori.
Inoltre, sempre in via transitoria e segnalando l’eventuale presenza di allergeni, i rivenditori possono ora riportare nella lista degli ingredienti la dizione generica della categoria oli e grassi vegetali seguita dalle origini vegetali potenzialmente presenti, in considerazione delle forniture disponibili. Per esempio “oli e grassi vegetali (girasole, palma, mais, soia, ecc.)”.
In negozi e supermercati dovranno poi esserci avvisi e apposita cartellonistica, collocata in evidenza in prossimità degli scaffali dei prodotti contenenti olio di girasole, in modo da far capire subito al consumatore cosa c’è di diverso.