La crisi del Mar Rosso non accenna a mostrare segni di risoluzione, anzi. Una questione tanto politica quanto economica, con quest’ultimo aspetto che riguarda numerosi Paesi, Italia compresa. Basti pensare che il volume del trasporto in quest’area è calato in maniera vertiginosa, com’è facile immaginare. Pochi mesi fa, appena lo scorso novembre, la mole di container giornaliera era pari a 500mila. Una cifra ridotta di 300mila unità, in media, su base quotidiana.
Tratta del Mar Rosso al collasso
Considerando come la tratta del Mar Rosso sia una delle principali in tutto il mondo, è facile capire come esistano delle stime accurate in merito al traffico atteso. In questo periodo avremmo dovuto assistere a un trasporto di quasi il 70% superiore rispetto a quanto effettivamente si sta verificando.
Non si arrestano gli attacchi alle navi internazionali da parte del gruppo Houthi dello Yemen. Cosa vuol dire tutto ciò? In parole povere chi si arrischia in questo percorso sa, purtroppo, i pericoli che corre. Tutti gli altri optano per tratte alternative, e in entrambi i casi i costi aumentano in maniera vertiginosa.
Occorre infatti tener conto degli aumenti connessi alle assicurazioni, così come a tempistiche e carburante per le tratte secondarie. Un calo del 66%, stando alle medie stimate sulla base degli anni intercorsi tra il 2017 e il 2019. Parlare di collasso, dunque, non è affatto esagerato. L’ennesimo elemento di disturbo per gli equilibri dell’economia globale, sempre più in balia degli eventi occorsi in regioni strategiche del mondo.
Quanto ci costa
A parlare nel dettaglio della situazione economica connessa al blocco del Mar Rosso ci ha pensato Julian Hinz, Direttore del Centro di Ricerca sulla Politica Commerciale, oltre che nuovo responsabile dell’Indicatore Kiel.
“Gli attacchi nel Mar Rosso costringono le navi a deviare, passando intorno al Capo di Buona Speranza, in Sud Africa. Ciò significa che le tempistiche per trasportare merci tra i centri di produzione asiatici e i consumatori europei si allungano. Un ritardo significativo, fino a 20 giorni in più rispetto al previsto”.
Tutto ciò ha un impatto diretto su quelle che sono le economie dei singoli Paesi. L’Unione europea sta infatti già registrando serie difficoltà, considerando gli attesi container ancora in mare e non pronti allo scarico in porto. Tenendo conto, poi, della necessità di organizzare e svolgere anche dei trasporti su gomma, sulla terra ferma, è facile comprendere come l’effetto domino stia rapidamente mostrando i suoi effetti dannosi.
Proponiamo un po’ di cifre che possono chiarire la situazione, tra riduzione dell’import-export e impennata vertiginosa dei costi, che avrà una conseguenza diretta sui prezzi per i consumatori finali. I tempi di navigazione extra vanno da un minimo di 7 a un massimo di 20 giorni. Allo stato attuale, il costo di un container di dimensioni standard, ovvero da 12 metri, ha visto il proprio costo più che raddoppiati. Si è passati da 1.500 a 4.000 dollari e oltre. Il tutto per un trasporto dalla Cina all’Europa.
Ricordate quando il mondo della tecnologia era stato messo in crisi durante la pandemia? Qualcuno ha detto PS5? Ecco, la via imboccata sembra essere quella, ma allo stato attuale le cifre sono ancora distanti. Seppur per differenti ragioni, al tempo il costo di un container standard aveva raggiunto la cifra record di 14.000 dollari. Si arriverà a tanto? Tutto dipende dai tempi previsti per una potenziale risoluzione, che oggi pare distante a dir poco.
Lo stato d’allerta c’è, dunque, ma non è ancora disastroso come alcuni anni fa. A gettare un po’ d’acqua sul fuoco ci ha pensato proprio Hinz: “La situazione attuale non può essere paragonata a quella dell’incidente Evergiven nel Canale di Suez o al coronavirus. A parte i tempi di consegna prolungati, con aumento dei costi di trasporto, non si prevedono conseguenze gravi per il commercio globale”.