L’avanzata ucraina nella regione russa di Kursk ha senza dubbio rappresentato uno smacco bruciante per la Russia. Col passare dei giorni, però, ci si rende sempre più conto che l’umiliazione assume un carattere più simbolico che militare.
Putin ha ordinato ai vertici militari di cacciare le truppe ucraine dal sacro suolo nazionale entro il 1° ottobre, senza però rinunciare a un singolo plotone nel fronte caldo del Donbass. Ardua impresa, ritenuta però cruciale dalla leadership politico-militare del Cremlino. In particolare, il presidente russo ha ordinato alle sue forze di non mollare la presa su Pokrovsk e Toretsk, nel Donetsk. Oblast in cui l’avanzata di Mosca è ripresa su ritmi che non si osservavano più da settimane.
Attacco ucraino in terra russa: a che punto siamo
L’esercito di Kiev penetrato nell’oblast di Kursk ha proseguito gli attacchi, avanzando a sud-est di Sudzha, luogo strategico per la presenza dell’omonimo gasdotto che trasporta idrocarburi russi verso l’Europa. Secondo l’Institute for the Study of War, le truppe di Mosca hanno bombardato mezzi corazzati ucraini a nord di Martynovka, segnalando un’offensiva ancora viva nell’area. Un altro indizio dell’avanzata ucraina è dato dalle immagini satellitari che mostrano le forze di Kiev a Troitskoye e Semenovka, oltre al danneggiamento di un terzo ponte sul fiume Seym dopo i due già bombardati negli scorsi giorni. Lo scopo è quello di impedire o quantomeno limitare i rifornimenti logistici delle truppe russe.
I report dal campo ci segnalano però anche una reazione di Mosca. Forte delle truppe inviate a Kursk in tutta fretta, provenienti (col contagocce) dai fronti di Kherson e Zaporizhzhia e Donetsk (parte della 810a brigata di fanteria marina), il Cremlino è riuscito in qualche modo a limitare lo slancio nemico. I cosiddetti kadyrovtsy del Battaglione Akhmat ceceno hanno infatti ripreso le località di Spalnoye, Krupets e Martynovka, nonostante la presenza di circa 12mila soldati ucraini appartenenti a due brigate meccanizzate, una di fanteria leggera e una della Guardia Nazionale. La minaccia russa si completa con lo stanziamento al confine di oltre 48mila soldati bielorussi, 12mila dei quali specificamente adibiti al pattugliamento della frontiera dove, secondo il presidente Lukashenko, l’Ucraina avrebbe schierato 120mila militari.
In ogni caso l’attacco a sorpresa ucraino ha dimostrato che le linee rosse di Mosca non sono inscalfibili. E che i sottovalutati nemici sono più forti di quel che il Cremlino stimava, al punto da essere capaci di catturare come prigionieri oltre 400 coscritti russi. A livello tattico, Kiev ha necessità di occupare totalmente Korenovo, snodo fondamentale per il controllo dell’area.
Ripristinato il transito di gas dallo snodo di Sudzha
Nel frattempo, dopo giorni di intensi combattimenti, è stato ripristinato a livelli normali il flusso di gas russo verso l’Europa attraverso il metanodotto che passa per Sudzha e passa anche dall’Ucraina, tutt’oggi pagata da Mosca per diritti di transito. A ennesima testimonianza che la guerra non frena gli affari tra Paesi belligeranti, anzi. Il trasporto di gas tramite l’arteria Urengoy-Pomary-Uzhgorod è tornato a oltre 42 milioni di metri cubi al giorno, come riferito da Sergei Kupriyanov di Gazprom. In questo modo il Cremlino ha messo a tacere le preoccupazioni di Austria, Slovacchia e Ungheria, fruitori di ultima istanza del gas transitante per Sudzha e alleati silenti in seno all’Europa comunitaria.
La tattica ucraina di minacciare le forniture di gas russo verso l’Ue era già stata osservata nel maggio 2022, a tre mesi dall’invasione su larga scala. In quel caso si trattava del blocco della stazione di Sokhranovka, attraverso la quale transitavano 30 milioni di metri cubi al giorno. I vertici di Gazprom hanno chiesto a Kiev di riattivare anche questo snodo gasiero, ricevendo però il secco “no” da parte ucraina.
Perché la Russia non ha ancora riconquistato Kursk
I russi hanno dunque inviato a Kursk milizie cecene e truppe richiamate dalla Crimea e da Kaliningrad, per evitare che gli avversari riuscissero davvero a mantenere il controllo dei fantomatici “mille chilometri quadrati” dichiarati “conquistati” da Volodymyr Zelensky. Una mossa che rivela la volontà temporanea di Mosca di non concentrare e impiegare troppe forze nell’oblast occupato, con Vladimir Putin molto attento alla portata di sacrificio bellico che chiede e deve ancora chiedere alla popolazione. Eppure il presidente russo si è visto costretto, secondo funzionari americani, a dirottare migliaia di soldati dai territori ucraini occupati verso il fronte di Kursk e a richiamare militari di leva, venendo così meno alla promessa di non impiegarli in prima linea.
Nonostante l’immediata esigenza, lo Stato maggiore russo rimane ben saldo nel proseguire una guerra statica, divenuta simmetrica nel momento in cui anche i nemici sono riusciti a invadere il territorio nazionale. Questo i vertici militari ucraini lo avevano ampiamente previsto, a quanto pare. Finora Mosca ha accumulato soprattutto unità di fanteria a Kursk, ma per contrattaccare hanno bisogno di grande fuoco di artiglieria, più difficile da ammassare senza privarsene altrove. Senza dimenticare che tutto viaggia su ferrovia, dai depositi al fronte, su binari sempre più disastrati. Per ora il Cremlino ha accumulato quel tanto di artiglieria che basta ad arrestare il nemico, non certo per riconquistare il terreno perduto.
C’è anche un’altra considerazione da fare per quanto riguarda lo schieramento russo: dietro le linee del fronte, Mosca non ha accumulato grandi riserve. Il motivo principale è che non teme che gli ucraini possano produrre una breccia nella fortificata linea difensiva. Anche questa caratteristica ha determinato la debacle di Kursk: i russi non sono stati in grado, materialmente, di accumulare un adeguato numero di unità in tempi rapidi per contrastare l’avanzata nemica. Per riuscirci sono necessari almeno 80mila uomini, che il Cremlino schiererà prima o poi, quando la catena di decisione e comando militare e politica avrà dato luce verde in tutti i suoi punti. E anche quando la macchina industriale statale sarà pronta ad assorbire lo sforzo, al netto della costante crescita che nel 2025 raggiungerà il suo picco. Da qual momento in poi, come ha osservato il generale Paolo Capitini in un’intervista a La Verità, la capacità russa di sostenere la guerra senza impoverirsi sarà gradualmente inferiore. L’orizzonte temporale che Mosca avrebbe stabilito come limite ultimo è di 5-7 mesi.
L’offensiva di Kursk sembra inoltre aver messo in luce la crescente sfiducia di Putin nei confronti dei suoi vertici militari. La perdita di territorio nazionale, cosa che non accadeva dalla Seconda Guerra Mondiale (in Russia chiamata Grande Guerra Patriottica), è un’onta che mina il potere del presidente russo. Al contempo, ha sollevato il morale delle prima stanche e afflitte forze ucraine, che ora si preparerebbero a sconfinare anche dalla regione di Sumy. Qui i militari si stanno riorganizzando e pianificano le prossime mosse. Nonostante le difficoltà, tra cui una recente missione fallita nella consegna di rifornimenti, i soldati contano di mantenere il controllo del territorio conquistato. Con ogni probabilità si tratta di una voce di propaganda messa in circolo per destabilizzare ulteriormente l’opinione pubblica russa, ma un’analisi di France24 mostra come i civil che abitano i villaggi ucraini di confine si dicano pronti ad affrontare pesanti combattimenti. L’operazione di Kiev a Kursk, lanciata con l’obiettivo di creare una zona cuscinetto per proteggere proprio i civili del Paese dal fuoco dell’artiglieria russa, si sta retoricamente trasformando in un “tutti per uno, uno per tutti” nazionale. Nel frattempo, però, il fuoco di Mosca continua a piombare sull’oblast di Sumy, come segnalato nei centri di Khotin e Kindrativka.
L’effetto boomerang dell’affondo ucraino: i russi avanzano nel Donbass
L’incursione ucraina in terra russa ha visto l’impiego di unità d’élite di alcune delle migliori brigate dell’esercito regolare. Il generale Syrsky ha deciso di non risparmiare il meglio delle forze ucraine, ma le ha di fatto condannate: o alla ritirata, sperando di riuscirci quando i russi decideranno di scatenare maggiori risorse per riprendersi Kursk, o a perdere i propri soldati in territorio nemico. L’obiettivo dell’offensiva non poteva che essere a breve termine, probabilmente per mettere pressione al Cremlino e costringerlo ai negoziati. Nell’audace auspicio di un impensabile scambio tra territori conquistati: Kursk per Donetsk. In questo senso la tattica di Zelensky ha fallito, come ha anche sottolineato il fedelissimo consigliere putiniano Yuri Ushakov. Come ha fallito anche nel caso in cui l’intenzione di Kiev fosse allentare il martello russo sull’incudine Donbass, dove al contrario gli invasori hanno ripreso ad avanzare.
In particolare, l’esercito di Mosca ha rivendicato la presa della città di N’ju Jork (sì, avete letto bene), che i russi chiamano Novgorodskoye, importante centro logistico nell’oblast del Donetsk e una delle località più grandi dell’area metropolitana di Toretsk. Di fronte a sé, il Cremlino ha difensori ucraini che hanno dirottato su Kursk gran parte delle riserve, lasciando sguarnite le retrovie nel Donbass nella speranza che la linea di fortificazioni e trincee regga. Nel frattempo le truppe ucraine nel Kursk dovranno decidere presto se tornare o farsi ammazzare, con ogni probabilità entro una decina di giorni.
La vera partita per Kiev si gioca dunque a sud, nel Donbass, più che a Kursk. Soprattutto nella zona di Kupiansk, dove i russi stanno spingendo gli ucraini verso il fiume Oskyl. Anche nella zona di Avdiivka, che mesi fa ha registrato una svolta nel conflitto, la situazione rimane critica.
Cosa vuole la Russia per porre fine alla guerra
A giugno, come in altre occasioni negli ultimi due anni e mezzo, Putin aveva ribadito le principali condizioni della Russia per porre fine alla guerra. Innanzitutto la garanzia che l’Ucraina resti neutrale, rinunciando dunque a un ingresso nella Nato. Ma anche la cessione dei territorio attualmente occupati e annessi unilateralmente dal Cremlino, e cioè Donetsk, Lugansk, Kherson, Zaporizhzhia e naturalmente Crimea.
Tale volontà russa si scontra ovviamente con quella della controparte ucraina. Dato che ogni guerra viene decisa in prima istanza a livello politico, l’intento di Kiev è quello di neutralizzare il vantaggio diplomatico del Cremlino nell’essere disposto a “congelare” il conflitto e arrivare al tavolo dei colloqui in posizione di vantaggio territoriale. O, per dirla con le parole dello stesso Putin, “considerando la situazione sul terreno”. Una volontà che offre a Mosca l’opportunità di avere dalla sua, in pura teoria, anche il consistente gruppo di pacifisti occidentali, oltre a gran parte della popolazione dei Paesi Brics e alle fasce ucraine più scoraggiare ed esauste della guerra. L’operazione Kursk ha però sottratto a Putin questo vantaggio negoziale, il che presagisce una risposta militare più dura nell’immediato futuro.