Ponte sullo Stretto, pedaggi, espropri e ricorsi: rischi e dubbi

Mentre il governo annuncia il ponte sullo Stretto, tra le carte partono espropri, proteste e calcoli su costi e pedaggi che rischiano di pesare più delle travi in acciaio

Pubblicato:

Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Nel cantiere ideale del Ponte sullo Stretto, disegnato sulla carta del Cipess, tutto fila: cantieri che si aprono a fine anno, auto che sfrecciano tra le sponde nel 2032, traghetti superati da una visione d’acciaio e calcestruzzo. Eppure, il quadro istituzionale appare meno lucido.

L’approvazione del progetto, per ora, non ha ancora pienamente attivato la dichiarazione di pubblica utilità: perché ciò avvenga serve il passaggio formale in Ragioneria generale dello Stato, la registrazione presso la Corte dei Conti e infine la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Solo allora partirà davvero la macchina degli espropri. Dietro questa formula si nasconde la possibilità che centinaia di famiglie perdano casa, terreno, attività.

A Villa San Giovanni e Torre Faro, due nomi ormai ricorrenti nella geografia delle resistenze, la prospettiva è già realtà. Le notifiche sono partite, gli uffici sono attivi, i piani esecutivi vengono promossi come inevitabili. Ma la parola “inevitabile” in Italia, soprattutto quando si tratta di grandi opere, è quanto meno prematura.

Il ponte si farà, certo, ma a quale prezzo e su quali fondamenta, resta da vedere. Anche perché l’entusiasmo politico non cancella i contorni sociali di una trasformazione che, prima di essere tecnica, è profondamente umana.

Ponte sullo Stretto, tutti i numeri dell’opera da record

L’approvazione del Cipess segue la sottoscrizione di un Atto Aggiuntivo al Contratto con la società incaricata dell’esecuzione, il consorzio Eurolink, sotto la guida di Webuild. Il valore dell’intervento supera i 10 miliardi di euro.

Secondo l’impresa costruttrice, il ponte sarà un’espressione di eccellenza tecnologica e industriale su scala globale. Con i suoi 3.300 metri di luce sospesa, supererà l’attuale detentore del primato mondiale, il ponte Canakkale in Turchia, distanziandolo di oltre 1.000 metri.

Secondo Webuild, il ponte sarà molto più di un collegamento stradale: un varco fisico e simbolico tra la Sicilia e il continente, da cui dovrebbero passare crescita, lavoro e un ritrovato dinamismo per tutto il Meridione. Chi firma il progetto assicura che il viadotto contribuirà a modernizzare il trasporto ferroviario e su gomma, a semplificare la logistica e ad attrarre capitali.

La narrazione industriale, come vediamo, è quella di una svolta, di un’opera destinata a trasformare il Sud in un hub di movimento e affari.

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Le contestazioni al progetto e i dubbi dei comitati locali

Le opposizioni all’intervento non si sono fatte attendere. Il comitato calabrese “No ponte”, attraverso il suo portavoce Peppe Marra, ha definito la recente delibera “l’ennesima forzatura politica travestita da atto tecnico”, lamentando il fatto che il progetto sia stato approvato malgrado “62 prescrizioni sostanziali” emerse durante la valutazione ambientale.

Secondo i detrattori, queste osservazioni sarebbero tali da rendere necessario un rifacimento dell’intero disegno progettuale, a partire dalle analisi di tipo geologico.

Il problema degli espropri tra Sicilia e Calabria

Parlare di progresso, di rilancio, di infrastrutture strategiche suona bene nei comunicati stampa. Ma il ponte sullo Stretto, prima ancora di essere un collegamento tra due sponde, è già oggi una frattura. Gli espropri sono iniziati, gli uffici sono stati aperti. A Messina e Villa San Giovanni non si discute più di ipotesi: si contano case, terreni, attività da sacrificare sull’altare dell’interesse generale.

Le cifre parlano di 291 immobili da acquisire solo sulla sponda siciliana, molti dei quali prime case. Qualcuno verrà risarcito, altri contesteranno, quasi tutti si sentiranno messi all’angolo. La retorica dell’opera necessaria mal si concilia con l’esperienza concreta di chi sta ricevendo lettere che iniziano con “procedura di esproprio”.

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Erano attese le parole del ministro Salvini in merito agli espropri. Si tratta di uno dei temi più delicati intorno al ponte, anche più della questione fattibilità o impatto ambientale, perché tocca la vita privata e lavorativa di moltissimi. Il ministro delle Infrastrutture ha assicurato che per gli espropriati ci saranno risarcimenti più alti rispetto a quelli di altre opere pubbliche (per esempio nel caso delle opere di Terna in Sardegna, Campania e Sicilia). Alla questione espropri si aggiunge anche quello della criminalità organizzata: nell’elenco degli espropriati ci sono anche famigliari di boss.

Il rischio di ritorsioni contro la struttura pubblica, contro i primissimi lavori (che inizieranno tra circa un mese), i lavoratori o altre infiltrazioni si alza.

Quanto costerà attraversare il Ponte sullo Stretto

Un ulteriore elemento di controversia riguarda la tariffa per l’attraversamento del futuro viadotto. Secondo quanto reso noto dalla società Stretto di Messina, il costo previsto per le automobili sarà attorno ai 10 euro. Il Codacons ha già definito la cifra “verosimilmente la più elevata al mondo”. Si stima un costo al chilometro di circa 2,73 euro, ben superiore rispetto alla media nazionale, con un incremento percentuale superiore al 3.500% rispetto al pedaggio medio sulle autostrade italiane.

Secondo le previsioni del Governo, il costo per attraversare il ponte andata e ritorno sarà attorno ai 9 euro, una cifra ritenuta più bassa rispetto all’attuale prezzo del traghetto.

Ma, se confrontata con altri esempi europei, come l’Eurotunnel, il prezzo al chilometro risulta sensibilmente più elevato. Per garantire la sostenibilità economica, l’opera dovrebbe autofinanziarsi con i proventi dei pedaggi: una proiezione elaborata a livello governativo indica che il ritorno sull’investimento potrebbe arrivare non prima del 2062, considerando anche le spese straordinarie per la manutenzione, stimate in circa 1,6 miliardi tra il 2034 e il 2060.

Ponte di Messina tra vincoli ambientali, ricorsi e penali

Un dossier redatto dalla struttura tecnica di Palazzo Chigi ha evidenziato diversi nodi ancora da risolvere. Primo fra tutti, il passaggio alla Corte dei Conti: l’approvazione finale del progetto dipenderà dall’esito dell’analisi condotta da due sezioni di controllo contabile. In caso di mancata intesa tra i collegi, la decisione passerà a una seduta plenaria. Solo dopo questo passaggio il provvedimento potrà essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Rimangono aperte anche le questioni ambientali. Il documento esecutivo deve ancora essere completato: sarà pronto solo dopo l’integrazione delle 62 osservazioni formulate dagli organi di valutazione. Tra i temi più sensibili ci sono le emissioni, il rumore, le vibrazioni, l’impatto sul sistema marino e l’irrecuperabilità di alcune zone tutelate.

Le autorità italiane hanno trasmesso alla Commissione Ue un pacchetto di misure compensative, ma non è da escludere una risposta formale da parte di Bruxelles.

Infine, l’aggiornamento contrattuale tra la società Stretto di Messina e il consorzio Eurolink prevede l’attivazione di penali nel caso in cui il cantiere venga fermato. Inizialmente si era parlato di oltre un miliardo e mezzo, ma la cifra più probabile, calcolata sul valore dei contratti già sottoscritti, come riporta Repubblica, si aggirerebbe attorno ai 400 milioni di euro.

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