In che direzione sta procedendo l’Italia? Si parla molto di divario tra Nord e Sud, con riferimento all’autonomia differenziata. Dure critiche per quello che alcuni annunciano come un disastro per il Meridione.
In casi del genere, però, la discussione politica risulta “sporcata” dal ben noto gioco delle parti. Ciò che risulta utile è attenersi alle cifre. L’indagine Demoskopika ha gettato luce sulla forbice tra Nord e Sud nel nostro Paese e, al netto di alcune indicazioni positive, il quadro generale è allarmante.
Crescita superiore al Sud
Partiamo subito con l’unico elemento positivo per il Sud in questa analisi. È stato evidenziato infatti come il ritmo di crescita del Mezzogiorno sia consistente e superiore a quello del Nord-Ovest e soprattutto del Centro.
Si parte però da una condizione di arretratezza economica sistemica, il che rende questa statistica una sorta di goccia nel mare, o poco più. Il trend resta positivo, è innegabile, ma ci sarà modo di dargli seguito nel prossimo futuro?
Ecco le parole di Raffaele Rio, presidente di Demoskopika. Il dito è puntato contro l’autonomia differenziata, in merito alla quale dice: “Servirebbe costruire un’autonomia consapevole piuttosto che differenziata o, peggio, gridata. Altrimenti c’è il rischio concreto di una guerra civile psicologica e dell’acuirsi di uno scontro ideologico devastante tra Nord e Sud del Paese”.
Prospettive ampiamente negative, sostenute dai numeri. Guardando al 2023, infatti, al netto dell’accelerazione del Pil del Mezzogiorno, occorre fare i conti con altri indicatori, che sottolineano una distanza massima tra i territori:
- occupazione;
- disoccupazione;
- reddito disponibile familiare;
- speranza di vita;
- sanità;
- ricchezza pro-capite;
- povertà.
Distanza Nord-Sud
La questione meridionale in questo Paese non è di certo qualcosa di recente. Non ci si è resi conto di colpo dell’esistenza di un numero di Regioni arretrate/lasciate indietro da generazioni. Le professionalità non mancano, anzi, ma è il sistema a risultare deficitario. Ciò comporta un arricchimento di altri territori, nazionali e internazionali, attraverso una forzata emigrazione di massa.
L’analisi di Demoskopika sottolinea come siano quattro gli indicatori principali per quanto riguarda l’ampliamento del divario: reddito disponibile delle famiglie, sanità, speranza di vita e ricchezza pro-capite.
Sul fronte dell’occupazione, per quanto il gap sia stato ridotto, la sua entità resta enorme. È infatti pari a 21,2 punti percentuali (erano 22,4 nel 2013), in un confronto impari tra il 69,4% di tasso di occupazione e il 48,2% del Sud. Anche il dato della disoccupazione è positivo, se guardato in maniera parziale. Si è infatti evidenziata una diminuzione in tutt’Italia. C’è però ben poco da festeggiare, se al Nord si parla del 4,6% e al Sud del 14,0%.
Reddito e ricchezza
Al netto del fatto che in alcune Regioni (non tutte) del Nord e del Centro un reddito più alto corrisponda a uno stile di vita più dispendioso, il divario con il Mezzogiorno è gravissimo. Viene inoltre da chiedersi per quanto tempo ancora possa reggere tale sistema, considerando l’adeguamento al rialzo dei costi di vita anche al Sud. I prezzi cambiano ma non gli stipendi, che restano ancorati a un decennio fa.
La forbice cresce e, dal 2013 a oggi, è passata da 12.969 euro a 16.916 euro. Un vero e proprio dramma che attanaglia più settori, come quello della Sanità. In media, infatti, i cittadini meridionali perdono altri 5 mesi di longevità rispetto a quelli settentrionali. La speranza di vita è infatti di 83,6 anni contro 82,1, per un divario complessivo di 1,6 anni.
Su tutto ciò ha un chiaro peso un sistema che prevede investimenti e qualità dei servizi sanitari ben maggiori in una porzione d’Italia rispetto all’altra. Alla voce ricchezza, infine, ci si ritrova a riconoscere un decennio devastante, con il biennio 2022-2023 che è risultato il più nero in assoluto.
Il prodotto interno lordo pro-capite del Nord è salito infatti da 32.919 euro del 2013 a 36.905 euro nel 2023. Al Sud il passaggio è stato appena di 17.980/19.821 euro. Ciò si traduce in quasi 4 milioni di persone a rischio povertà in più nella parte bassa del Paese rispetto alle realtà settentrionali: 6,7 milioni contro 2,7 milioni.