“Questo primo trimestre dell’anno ha visto un’inflazione più alta delle previsioni, ma anche una crescita economica più robusta negli Stati Uniti. Questo ha portato la Federal Reserve a modificare le sue stime di crescita per l’anno in corso dal +1,4% che stimava a dicembre 2023 al +2,1% (con un’aspettativa del consensus che arriva fino al 2,2%). La novità in questo scenario è che ad oggi più che un soft-landing, potrebbe configurarsi un no-landing: vale a dire un’inflazione che scende più lenta del previsto accompagnata da una crescita economica resiliente, e che si attesta al di sopra del potenziale (ca 1,8% per gli USA)”: è quanto si legge nel commento “Per il mercato USA sempre più probabile il no-landing” a cura di Andrea Delitala, Head of Investment Advisory, e Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management
Mercato USA, no landing sempre più probabile
Dai dati – scrivono gli esperti -” si evince come il processo disinflattivo in America abbia perso la sua linearità, con un “ultimo miglio” (in realtà punto %: dal 3% al 2%) che si sta rivelando più tortuoso del previsto. La teoria più accreditata è che la fiammata inflattiva post-pandemica del 2022-23 sia legata alle dinamiche d’offerta, ovvero alla “supply side”. Del resto, anche il presidente della Fed, Jerome Powell, ha convalidato questa lettura: la sua politica monetaria ha agito per frenare la domanda, in modo da dare all’offerta il tempo di normalizzarsi, grazie al ripristinarsi delle normali condizioni sulle catene di fornitura. Un approccio diverso da quello di una banca centrale intenzionata a frenare un’inflazione da domanda, caratteristica dei cicli tradizionali”.
“Da inizio anno, tuttavia, l’inflazione ha smesso di avere un chiaro percorso di discesa. In America, al momento, si osserva principalmente un’inflazione da servizi. Ed è un dato che si origina dalla dinamicità del mercato del lavoro e dalla relazione tra domanda e offerta di lavoratori. Negli Usa, infatti, si è arrivati fino a un picco di due posti di lavoro disponibili per ogni disoccupato (Vacancies/Unemployment), mentre oggi questo rapporto è sceso a 1,35 grazie anche ad un maggiore afflusso di forza lavoro in parte dovuta a nuovi immigrati (pari l’anno scorso a 3,3 milioni di persone in più). Un dato (il V/U), tuttavia, non ancora abbastanza basso, poiché in condizioni ideali dovrebbe scendere a circa uno”
Gli scenari
Nonostante il percorso di riequilibrio del “job market” ancora incompleto, al momento, l’aggiustamento al rialzo dei salari è compatibile con le altre grandezze economiche. Infatti, mettendo in relazione la crescita dei salari (ultimo dato tendenziale 4,1%, da 6 mesi gira attorno al 4%), al netto dell’inflazione che sui beni è intorno al 3%, si nota una crescita dei salari reali intorno all’1%. Questo sarebbe un problema per le aziende se la produttività del lavoro crescesse a un ritmo inferiore, ma questa sta aumentando al 2,6%, ritmo ben superiore rispetto all’aumento dei salari reali. Un aspetto, quest’ultimo, in chiara divergenza con la situazione europea dove i salari reali crescono circa al 2% e la produttività attorno all’1%. Questo significa che, “per restituire potere d’acquisto ai lavoratori dipendenti svantaggiati durante il Covid, senza alimentare la spirale prezzi-salari, sia necessario un sacrificio dei margini di profitto – cosa alla quale peraltro la BCE si affida apertamente. Ciò giustifica almeno in parte il differenziale valutativo tra azioni americane ed europee”.
PIL e inflazione, i possibili numeri
Alla luce di quanto detto, sono state elaborate una serie di possibili scenari sulla base delle stime del consensus: i più probabili risultano essere al 50% quello di un no-landing, con previsioni macro che puntano a una crescita del 2,4% e a un’inflazione CPI al 3%, e al 30% quello di soft-landing, con una crescita del Pil all’1,5% e un’inflazione CPI 2,5%.
£Gli analisti del nostro centro di ricerca “convergono su uno scenario intermedio che vede una crescita dell’1,8% e un’inflazione che dovrebbe rimanere più elevata al 3,2%, soprattutto a causa dei prezzi sui servizi che si comprimono a un ritmo inferiore alle aspettative”.