Il 76% dei dirigenti C-suite al vertice delle aziende italiane afferma di voler modificare in modo opportunistico parti della propria supply chain in risposta a eventi recenti quali la pandemia da COVID-19, la guerra russo-ucraina che ha provocato una carenza di materie prime a livello globale e un aumento delle pressioni inflazionistiche, o ancora i cambiamenti della domanda dei consumatori, che richiedono una scelta più ampia e una disponibilità sempre più rapida. A fronte di un 65% di manager italiani che prevede un aumento dei costi fino al 10% nell’anno fiscale in corso, gli intervistati guardano a una serie di strategie volte a potenziare la resilienza delle proprie catene di approvvigionamento. Secondo il “Supply Chain Barometer 2023: Pressure on Cost Continues” di FTI Consulting, il 38% degli intervistati ha infatti in programma di siglare contratti di fornitura di lungo periodo o partnership strategiche, il 37% prevede di rafforzare i rapporti con i propri fornitori e il 36% di instaurarne di nuovi in altri Paesi dell’Unione Europea, per garantire efficienza e flessibilità maggiori.
La survey, condotta su 450 rappresentanti C-suite in Germania, Italia e Spagna, identifica cinque temi chiave che i leader aziendali europei dovranno affrontare in risposta alle principali sfide legate all’approvvigionamento.
Pressioni crescenti legate ai costi
In tutti i Paesi europei esaminati, il 58% degli intervistati prevede per quest’anno aumenti dei costi fino al 10%. Nel settore automobilistico italiano, la percentuale di manager che condivide tale preoccupazione sale al 70%.
Gli aumenti più evidenti si riscontrano nell’energia, nei materiali e nei componenti, come evidenziato da oltre il 60% degli intervistati in Europa. L’aumento dei costi dei materiali è stato rilevante in particolare per il settore della moda italiano, dove è stato segnalato dal 72% degli intervistati.
In risposta alle pressioni sui margini operativi, i leader aziendali di tutta Europa stanno mettendo in atto iniziative per la riduzione dei costi, con il 65% degli intervistati che dichiara di concentrarsi sulla riduzione delle spese per l’energia.
Carenza di talenti: una scarsità significativa
La survey conferma la carenza di manodopera qualificata, ritenuta dal 47% degli intervistati uno dei principali fattori di disruption. In Italia, questo deficit è confermato dagli intervistati soprattutto nei settori del food e del fashion. La scarsità di personale qualificato rappresenta una sfida su più fronti, causando un aumento del costo del lavoro e il rischio che vengano meno competenze critiche interne, il che ostacola non solo la capacità produttiva, ma anche la realizzazione di iniziative strategiche che impattano la supply chain.
Ripensare le strategie di supply chain network
L’87% degli intervistati a livello europeo stima di voler modificare le proprie catene di approvvigionamento per aumentarne la resilienza e la flessibilità, mentre il 15% di questo gruppo si aspetta la revisione strategica a 360° della propria supply chain.
Alla domanda sulle loro priorità strategiche attuali, più della metà degli intervistati riferisce che la propria organizzazione si concentra sulla costruzione di partnership strategiche e sulla sottoscrizione di accordi di lungo periodo, accorciando al contempo le reti di fornitura e riportandole all’interno del perimetro dell’UE.
Il Supply Chain Barometer 2023 evidenzia inoltre una significativa inversione di tendenza a favore di un maggiore insourcing e di un minore outsourcing, con un cambiamento più marcato nel settore dei beni di consumo. In particolare, il 41% degli intervistati nel comparto si sta attualmente concentrando sull’insourcing dei principali processi produttivi.
Gestione del capitale circolante
Il 90% degli intervistati in Europa considera la gestione del capitale circolante come un aspetto importante o estremamente importante. Per migliorare il flusso di cassa e la gestione del debito, il 39% degli intervistati a livello europeo – soprattutto quelli dei settori automotive e manifatturiero – sta cercando di migliorare i termini di pagamento fornitori. Tale focus è più evidente in Germania (42%) e Spagna (41%) piuttosto che in Italia (22%).
Al contrario, il 32% degli intervistati riferisce di aver adottato misure per ridurre i crediti. Questo approccio si è rivelato particolarmente diffuso tra le aziende del settore dei beni di consumo, in cui il factoring è una prassi comune, soprattutto tra le aziende italiane (55%) e spagnole (52%).
Cresce l’imperativo di investire in ESG e digitalizzazione
La survey evidenzia una crescente consapevolezza dell’importanza delle tematiche ESG nelle attività aziendali: il 42% degli intervistati a livello europeo considera la strategia di decarbonizzazione un vantaggio competitivo. Un trend prevalente tra gli intervistati è rappresentato poi dal rapporto tra le attività di decarbonizzazione e gli sforzi per migliorare l’efficienza energetica e ridurre i costi. Questo aspetto si nota in particolare tra gli intervistati italiani (53%) e spagnoli (52%), che evidenziano come l’integrazione delle attività ESG nelle principali strategie aziendali conduca a vantaggi tangibili.
Il 52% degli intervistati ritiene di non aver completato il proprio processo di digitalizzazione. Le differenze tra i Paesi intervistati sono notevoli soprattutto nel settore dei beni di consumo, dove solo il 20% degli intervistati italiani dichiara un elevato livello di digitalizzazione, rispetto a quasi il 60% delle controparti spagnole