La recente escalation tra Israele e Iran ci ha offerto un test in diretta del comportamento degli stili azionari in caso di stress geopolitico e come gli shock “possano influenzare i mercati finanziari, con particolare attenzione alle strategie di investimento che potrebbero essere più resilienti o vulnerabili in questo contesto”. Lo sottolinea Ross Olusanya, Quantitative Investment Director, Aberdeen Investments.
Stress geopolitico, impatto sugli stili di investimento azionari
Partiamo dai titoli a basso beta (come beni di consumo, utility etc) che in risposta all’attacco israeliano all’Iran del 13 giugno, hanno registrato una forte performance, mentre i titoli ad alto beta hanno subito una flessione. Perché? Gli investitori – spiega l’esperto – hanno cercato sicurezza in titoli stabili e a bassa volatilità. Quando le speranze di un cessate il fuoco sono aumentate, lo schema si è invertito e i titoli ad alto beta hanno registrato un rimbalzo. Questo ci insegna che quando prevale la paura, si tende ad acquistare titoli a basso beta e a vendere quelli ad alto beta; al contrario, nei momenti di distensione accade l’opposto.
Lo stile basato sul Momentum ha resistito grazie alla rotazione verso i titoli difensivi
Di norma, uno shock improvviso interrompe il fattore momentum, eppure, le strategie momentum hanno registrato rendimenti positivi, in particolare il 13 giugno. Perché? Prima del conflitto, le strategie focalizzate sul momentum si erano orientate verso titoli difensivi. Per mesi l’incertezza è stata la nuova normalità, perciò i trader hanno seguito i trend dei titoli a basso beta. Quindi, alla notizia dei bombardamenti, questi trend hanno accelerato invece di subire un’inversione. Questo ci insegna che lo stile improntato al Momentum dipende dal contesto e, in questo caso, i vincitori sono stati i titoli difensivi più solidi all’interno del mercato.
Il segreto settoriale del Value, che ha registrato risultati positivi grazie a energia e utility
I titoli value, spesso considerati ciclici e più rischiosi, hanno ottenuto buoni risultati all’inizio della crisi, ma non perché gli investitori abbiano improvvisamente riscoperto un interesse per i titoli a buon mercato. La loro sovraperformance – prosegue l’analisi – è dipesa in gran parte dall’esposizione settoriale, in particolare ai comparti energia e utility. Se si escludono questi settori, il Value non avrebbe mostrato un comportamento così difensivo.
Perché? Molti titoli value nei settori energia e utility hanno beneficiato dell’impennata del prezzo del petrolio e di un flight to safety. Guardando alla scomposizione per fattori, il dividend yield e altri indicatori value hanno contribuito in modo significativo alla performance positiva del 13 giugno.
Intanto i titoli growth, in particolare quelli a forte crescita, hanno sofferto — come spesso accade quando salgono i rendimenti e cala l’appetito per il rischio. Con l’allentarsi delle tensioni, hanno però recuperato terreno. Il 24 giugno, alla notizia di un possibile cessate il fuoco, il petrolio è sceso, i titoli ciclici e ad alto beta sono rimbalzati, mentre i difensivi hanno perso slancio. Anche le esposizioni fattoriali si sono rapidamente invertite: le posizioni corte sono aumentate e quelle lunghe difensive si sono indebolite. Un rally di sollievo risk-on da manuale. Questo ci insegna che il comportamento del Value non è sempre legato alle valutazioni, ma spesso alla sua composizione settoriale, come petrolio e utility. Le modalità di definizione dei fattori – e se sono o meno neutrali rispetto ai settori — possono avere un impatto significativo sui rendimenti.
La qualità non sempre è un bene rifugio
I titoli di qualità, ovvero le società con bilanci solidi, utili stabili, un elevato ritorno sul capitale proprio, ecc. hanno registrato una performance mediocre durante lo shock iniziale.
Perché? Molte società di qualità – si pensi alle grandi aziende tecnologiche o ai marchi di consumo di qualità – presentano ancora un rischio di mercato. Inoltre, la qualità non è sinonimo di basso beta. Gli investitori possono essere attratti da un’azienda di alta qualità, che però può essere ciclica o sensibile ai tassi di interesse.
Questo ci insegna che in modalità crisi, la qualità non era un obiettivo primario; gli investitori hanno invece dato priorità a fattori esplicitamente a basso rischio, come un basso beta e il rendimento dei dividendi.
La composizione del portafoglio conta
Durante eventi estremi — siano essi di natura geopolitica, sociale o ambientale — i mercati tendono a comportarsi secondo schemi ormai consolidati, seppure con alcune varianti che riflettono il contesto attuale, spiega l’esperto sottolineando che etichette generiche come “value” o “growth” possono risultare fuorvianti. All’interno dello stile “value”, ad esempio, la composizione settoriale (energia, utility, ecc.) è stata determinante per il suo successo in questo conflitto. Comprendere le ragioni per cui un fattore si comporta in un certo modo è fondamentale. Gli investitori devono sapere cosa possiedono davvero, al di là della semplice etichetta dei fattori.
Il fatto che il “momentum” non si sia deteriorato rivela molto sul posizionamento del mercato prima dell’inizio del conflitto. Sembra che molti investitori fossero già orientati verso posizioni difensive ancor prima del lancio dei missili. Quando un rischio estremo segue un altro, il posizionamento precedente del mercato può attenuare o amplificare l’impatto sui fattori. In questo caso, lo ha attenuato: il momentum si era già spostato verso titoli più sicuri, il che ne ha sostenuto la tenuta durante la tempesta.
In sintesi “i mercati continueranno a riservare sorprese. Tuttavia, analizzando attentamente il comportamento degli stili e dei fattori, possiamo provare a mantenerci un passo avanti, posizionando i portafogli in modo da resistere agli shock e cogliere le opportunità”.