Il Consiglio di Amministrazione di Mediobanca respinge l’offerta da 13,3 miliardi lanciata da Monte Paschi di Siena, giudicandola “priva di razionale industriale e finanziario”.
Perché “no” all’OPS
Il Consiglio di amministrazione di Mediobanca ha fatto sapere che l’offerta di Banca Monte dei Paschi di Siena (MPS) “non è stata concordata ed è da ritenersi ostile e contraria agli interessi di Mediobanca”. Fermo restando che Mediobanca si esprimerà sull’offerta con le tempistiche, gli strumenti e secondo le modalità previste dalla legge, sulla base dell’analisi del comunicato ritiene l’offerta “priva di razionale industriale e finanziario, e dunque distruttiva di valore per Mediobanca”.
Deal senza razionale industriale
L’operazione inoltre per la banca di Piazzetta Cuccia “manca di razionale industriale in quanto comporta: un forte indebolimento del modello di business di Mediobanca focalizzato sui segmenti di attività specializzate e redditizie quali il Wealth Management e l’Investment Banking; analogamente, perdite di ricavi e clienti interesserebbero il Wealth Management e l’Investment Banking, posti a base del piano di sviluppo del gruppo, anche per l’incertezza che graverebbe sulla capacità della eventuale entità combinata di trattenere i principali clienti; la perdita di clientela sarà ragionevolmente accompagnata dalla perdita delle migliori risorse umane del Gruppo; assenza di apprezzabili sinergie di costo non avendo i due Gruppi sovrapposizioni di reti distributive”.
L’operazione manca di un razionale finanziario in quanto comporta: un forte pregiudizio al profilo reddituale di Mediobanca, i cui utili su base stand alone sono previsti in crescita come previsto dal Piano in esecuzione, mentre il consensus vede per MPS un calo degli utili per la riduzione del margine di interesse ed il progressivo venir meno dei benefici fiscali; una diluizione dei multipli valutativi di Mediobanca per il venir meno della prevista crescita di ricavi e utili, dell’elevata redditività (doppia di quella futuribile per il MPS al netto di un tax-rate normalizzato), della pressoché nulla esposizione al segmento delle piccole imprese, della crescita, anche di peso, del WM; il calo del titolo MPS dopo l’annuncio ne testimonia la fragilità del corso di borsa, che rende improbabile il buon esito dell’operazione.
Rilevanti intrecci azionari di Delfin e Caltagirone
Mediobanca segnala anche che l’operazione è caratterizzata dai “rilevanti intrecci azionari di Delfin e Caltagirone“, che sono presenti: in Mediobanca, dove Delfin detiene il 20% e Caltagirone il 7% (sulla base dello stacco del dividendo di novembre 2024), in MPS, dove Delfin è il primo azionista privato con il 10%, mentre Caltagirone detiene il 5% (oltre a detenere il 5% di Anima che a sua volta possiede il 4% di MPS), in Generali, dove Delfin detiene il 10% e Caltagirone il 7%.
La presenza degli stessi azionisti in MPS, Mediobanca e Generali nell’ambito di un’offerta esclusivamente in azioni, configura “una potenziale disomogeneità negli interessi rispetto al resto della compagine azionaria”.
Il comunicato del CdA è stato approvato con l’astensione dei consiglieri Sandro Panizza e Sabrina Pucci (espressione di Delfin e delle minoranze).
La replica di Siena: “Natura industriale è ovvia”
Fonti vicine all’operazione lanciata su Mediobanca da MPS, dopo il comunicato di Piazzetta Cuccia che ha bocciato l’OPS, fanno notare che “la natura industriale della business combination proposta è talmente ovvia che la stessa Mediobanca ha deciso di includere ormai da tempo nel proprio perimetro lo stesso credito al consumo, e non si tratta certamente di un’attività legata all’Investment Banking, ma è molto più nelle corde di una banca commerciale”. Per le stesse fonti, “non sarà, quindi, questa operazione a pregiudicare l’identità di quella banca, che già oggi vede Wealth Management e Corporate & Investment Banking contribuire in aggregato all’utile netto per solo il 35% circa, pressoché quanto Compass che contribuisce per circa il 30%.
La parte del leone la fanno gli utili di Generali, che contribuiscono a circa il 40% del risultato netto di Mediobanca, sul quale impattano negativamente i costi delle funzioni centrali”. Dovremmo dedurre – spiegano – “che è a quest’ultimo, sebbene non ve ne sia traccia nel comunicato stampa, che Mediobanca si riferisce quando indica una focalizzazione su segmenti di attività a valore aggiunto e trend di crescita. Ed è sempre la quota del 13% di Generali ad aver contribuito in modo importante anche alla crescita della market cap di Mediobanca, quota che se epurata porta a un valore di mercato inferiore a quello di Montepaschi”.