Gli investitori istituzionali domestici rappresentavano a fine 2023 meno di 2 miliardi di euro di investimenti nel FTSE MIB, dietro a investitori istituzionali di paesi come il Regno Unito (più di 3,5 miliardi), l’Europa (più di 6 miliardi) e gli Stati Uniti (più di 7,5 miliardi). Una conferma della netta dominanza dei fondi stranieri nelle compagini sociali delle quotate italiane, con conseguenti impatti significativi in termini di performance nei periodi di stress dei mercati, a causa della maggiore volatilità degli investimenti esteri rispetto a una significativa stabilità da parte di quelli domestici. È una delle evidenze emerse dalla ricerca “Lo stato dell’arte degli investimenti nelle società quotate in Italia: evoluzione o involuzione? Quali prospettive future?” presentata durante l’undicesima edizione del convegno promosso da EQUITA in collaborazione con Università Bocconi.
Le preferenze degli investitori istituzionali italiani
Se si guarda agli investitori istituzionali italiani cosiddetti long term come la Casse di Previdenza, ovvero quei soggetti che sono considerati più importanti ai fini del sostegno del “Sistema Paese” (non solo per le quotate ma anche per le non quotate e per gli investimenti infrastrutturali), la percentuale di patrimonio investita in Italia risulta in costante diminuzione, a favore della quota investita all’estero. Tale dinamica è da attribuire alla volontà di diversificare geograficamente ma, soprattutto, alla capacità dei mercati esteri di offrire opportunità d’investimento interessanti sotto un profilo di flessibilità, tipologia di prodotti e rendimento.
Le scelte dei fondi pensione e delle assicurazioni
Lo stesso trend è confermato dalla composizione degli investimenti delle forme pensionistiche complementari, dove il “prodotto Italia” è sceso dal 28% circa nel 2018 al 21% circa nel 2022 del totale investimenti, e dove gran parte di tale percentuale è riconducibile ai titoli di stato e meno dell’1% è investito in titoli azionari domestici. Le assicurazioni italiane rappresentano anch’esse un investitore di lungo periodo che nel tempo ha dedicato una percentuale molto contenuta dei propri investimenti ai titoli azionari domestici, compresa tra il 2 e il 3% del totale degli assets.
Come invertire il trend
Tra le conclusioni della ricerca, è stato anche proposto un programma di lavoro volto a colmare nel breve e medio periodo i gap strutturali e consolidati del mercato dei capitali italiano rispetto a quello delle altre economie. Tra i suggerimenti troviamo: la creazione di fondi d’investimento di grandi dimensioni, in grado di investire nelle PMI quotate e che coinvolgano come anchor investor anche soggetti pubblici e istituzioni finanziarie domestiche; la creazione di una campagna dedicata alla sottoscrizione di azioni quotate, replicando il successo dell’iniziativa BTP Valore con nuove iniziative che potrebbero prendere il nome di Italian Equity Valore; lo sviluppo delle attività di ricerca sulle società quotate italiane tramite la creazione di strutture mutualistiche a favore dell’intero sistema; l’inserimento di obiettivi legati allo sviluppo del mercato dei capitali nei compiti delle autorità di vigilanza; una revisione della fiscalità d’impresa, che permetta di sostenere in maniera strutturale il collegamento tra risparmio e sviluppo economico attraverso i mercati dei capitali.