Per aggiungere gli obiettivi climatici globali sono necessari 6.500 miliardi di dollari all’anno in media fino al 2030. Di questa cifra, 1.300 miliardi servono per i paesi emergenti e in via di sviluppo (Emdc) diversi dalla Cina. Questo il quadro che emerge dal terzo rapporto del “Gruppo di esperti indipendenti di alto livello sulla finanza climatica”, presentato alla Cop29 di Baku. Ma il negoziato sugli aiuti ai paesi vulnerabili contro il cambiamento climatico è ancora in alto mare. Si stima, tuttavia, che le perdite economiche evitabili entro il 2100, realizzando uno scenario di riscaldamento globale di +1,5°C, saranno comunque cinque volte maggiori dei finanziamenti per il clima necessari per raggiungere questo obiettivo entro il 2050.
Su finanza climatica parti ancora divise
Sulla cifra stimata di 1.300 miliardi all’anno da versare ai paesi in via di sviluppo (esclusa la Cina), i paesi dell’Onu non si mettono d’accordo su quanti soldi versare, chi li deve versare, a quali condizioni. Sul tavolo c’è il rinnovo del fondo da 100 miliardi di dollari all’anno di aiuti ai paesi vulnerabili, previsto dall’Accordo di Parigi e in scadenza nel 2025. Il primo problema è decidere la cifra. Il Gruppo di esperti indipendenti di alto livello sulla finanza climatica, una commissione che dal 2021 assiste le Cop, calcola che al mondo servano 6.500 miliardi all’anno per la finanza climatica. Di questa somma, 1.300 miliardi all’anno devono andare ai paesi in via di sviluppo (esclusa la Cina). Il G77, il gruppo che raccoglie i paesi in via di sviluppo (esclusa la Cina), ha subito rilanciato questa cifra sul tavolo negoziale di Baku. I donatori hanno fatto muro. A loro avviso, già è un’impresa raccogliere 100 miliardi all’anno. Che infatti, si sono raggiunti solo nel 2022. Ma i contrasti non finiscono qui.
Bisogna anche chiarire cosa si intende per “finanziamenti”. I paesi in via di sviluppo vogliono che siano “grant”, cioè finanza pubblica a fondo perduto, o al massimo “finanza concessionale”, cioè prestiti a tassi agevolati. Finora, nei 100 miliardi sono stati contati anche prestiti a tasso di mercato, che difficilmente si possono considerare aiuti. E poi, bisogna capire a cosa vanno destinati questi soldi. Alla mitigazione delle emissioni (che interessa ai paesi ricchi che vendono le tecnologie delle rinnovabili) o all’adattamento al clima cambiato (che interessa ai paesi poveri che ne subiscono gli effetti disastrosi)? Gli stati sviluppati vogliono anche sapere dove vanno a finire i loro soldi, e chiedono meccanismi severi di selezione dei progetti e di controllo della loro attuazione. Da Baku, le principali banche multilaterali di sviluppo hanno fatto sapere che possono arrivare a 120 miliardi all’anno di finanziamenti climatici per i paesi in via di sviluppo, e mobilitarne altri 65 dal settore privato.
L’intervento del negoziatore della Commissione europea
“Sul tema principale della Cop29, il nuovo obiettivo di finanza climatica, l’Ncqg, le parti sono ancora divise in modo significativo. Sul quantum (la somma da destinare agli aiuti, n.d.r.), se debba venire da fondi pubblici o anche dai privati, su chi debba contribuire. È difficile dire ora dove sarà il punto di caduta. Speriamo che la prossima settimana, quando torneranno i ministri, emerga quello spirito di compromesso che c’è stato alla pre-Cop” ha detto il negoziatore della Commissione europea alla Cop29 Jacob Werksman, a una conferenza stampa a Baku. Sull’altro tema importante in discussione alla conferenza, il mercato internazionale del carbonio previsto dall’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, Werksman ha detto che “sono stati ottenuti alcuni progressi. È stato raggiunto un accordo sulla trasparenza e sul rendiconto del meccanismo. Ora andiamo avanti. Speriamo di lasciare pochi punti da decidere ai ministri”.
Il ruolo dell’Italia
”Nonostante la ricchezza di risorse, attualmente 600 milioni di persone, il 43% della popolazione totale e principalmente in area subsahariana, non ha accesso all’elettricità, come ci dice l’agenzia internazionale per l’energia Iea – ha spiegato nel suo intervento alla Cop29 il sottosegretario all’Ambiente, Claudio Barbaro –. L’Italia ha l’opportunità di contribuire significativamente allo sviluppo sostenibile e alla transizione energetica dell’Africa. Un ruolo decisivo in questo senso è svolto dalla politica di cooperazione ambientale internazionale del Mase e dal Fondo Italiano per il Clima, in sinergia col Dicastero degli Esteri. Il Fondo prevede uno stanziamento di oltre 4 miliardi di euro, di cui il 75% da destinare ad Africa e alla zona del Medio Oriente – Nordafrica. Si tratta di uno degli strumenti finanziari del Piano Mattei, strumento molto flessibile sia rispetto alla platea di beneficiari che rispetto alle modalità di intervento. Da novembre 2023, il Fondo è pienamente operativo e ha approvato i primi 8 interventi per un ammontare di 552,7 milioni di euro, di cui il 91% destinati all’Africa”.