La Cina abbassa i tassi per la seconda volta in tre giorni: Pechino sempre più in crisi

Altro taglio dei tassi di interesse da parte della Cina a causa della crisi economica e della domanda interna

Pubblicato: 26 Luglio 2024 13:35

Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

La Banca popolare cinese ha tagliato nuovamente i tassi di interesse, per la seconda volta in 3 giorni. Ad essere ritoccato al ribasso questo volta è stato l’indice Mlf, che regola il costo dei prestiti che la banca centrale elargisce alle istituzioni finanziarie. Si tratta dell’ennesima mossa per cercare di rivitalizzare un’economia che stenta a riprendersi dal lunghissimo periodo di restrizioni seguito alla pandemia da Covid-19.

Continuano infatti le difficoltà del regime di Pechino nel trovare una collocazione per l’economia cinese nel nuovo mondo post pandemico. L’ostilità degli Usa e ora anche dell’Ue sta frenando l’export, tra i pochi dati positivi degli ultimi mesi, frena la ripresa. La domanda interna sta continuando a vacillare, causando un calo dei prezzi in diversi settori che spinge il mercato verso una spirale deflazionistica sempre più difficile da fermare.

Secondo taglio dei tassi in tre giorni: soluzioni di emergenza in Cina

La Banca popolare cinese, ossia la banca centrale che controlla la valuta della Cina, ha abbassato nuovamente uno degli indici che controlla i tassi di interesse del renminbi, la moneta di Pechino, anche conosciuta come yuan. Si tratta della seconda misura espansiva in soli tre giorni e completa le precedenti decisioni sui tassi per i prestiti a famiglie e imprese e su quelli dei mutui. Si tratta infatti di un taglio di ben 20 punti base al costo del denaro per le istituzioni finanziarie, riassunto nell’indice Mlf.

I tassi di interesse passano quindi al 2,3% per il medio termine e all’1,7% per il breve termine. Un’altra decisione improvvisa e inaspettata dai mercati, che però non stanno reagendo bene nonostante l’afflusso di liquidità. La Borsa di Hong Kong, la principale della Cina, ha perso 2,5 punti percentuali negli ultimi 5 giorni, mantenendo a fatica la parità durante la giornata del 26 luglio, quando è stato annunciato il nuovo taglio dei tassi di interesse.

Le decisioni sono arrivate dopo la riunione plenaria del Partito comunista cinese che ha annunciato un vago progetto di riforme. Il cambiamento di politica monetaria è però visto come l’opposto di un percorso di cambiamento delle strutture economiche che hanno portato alle attuali difficoltà. Sembra che il governo sia intenzionato a continuare a procedere sulla strada intrapresa utilizzando la svalutazione della moneta come arma contro i problemi che stanno attanagliando la Cina ormai da più di un anno.

La crisi della domanda interna: perché i cinesi non comprano più

L’economia cinese non sta andando come previsto. Nel secondo trimestre del 2024 è sì cresciuta di oltre il 4,7%, ma le stime degli analisti si attendevano almeno un +5%. Pur imparagonabili con i dati dei Paesi sviluppati, dove anche gli Usa, in un momento di vero e proprio boom economico, non crescono più del 2,8% nel secondo trimestre, queste cifre vanno contestualizzate all’interno di un momento economico difficile. La Cina ha prolungato fino alla metà del 2023 delle misure restrittive per contenere il Covid-19 molto severe, riassunte nella cosiddetta “Politica zero Covid”.

La bassa diffusione di vaccini poco efficaci ha costretto il governo a un isolamento del Paese dall’estero, nel quale per quasi due anni è stato possibile entrare solo dopo lunga quarantena, e ogni focolaio veniva trattato come una potenziale nuova ondata. Questo ha indebolito l’economia da una parte, ma soprattutto la fiducia di imprese e consumatori.

Il primo segnale della crisi economica è stato lo scoppio della bolla immobiliare. La crisi economica ha messo in luce i problemi di uno dei settori che da sempre fa da traino per la domanda interna cinese. Un intero segmento che era costretto a crescere per ripagare i debiti con cui si finanziava e che, nel momento in cui la crisi economica ha colpito il Paese durante la pandemia, ha visto alcune delle sue aziende più importante, Evergrande su tutte, fallire.

La crisi immobiliare è però soltanto il sintomo del vero problema dell’economia cinese, la domanda interna. I consumatori, soprattutto la classe media emersa negli anni di grande crescita, sta rallentando i consumi.

Una dinamica che ha conseguenze anche in Europa, dove ha causato il crollo in Borsa del colosso del lusso Lvmh dopo alcuni dati negativi provenienti proprio da oriente. Ma i problemi principali li crea ovviamente in Cina. Le aziende producono per una domanda che non c’è, i prezzi calano e le persone rimandano di conseguenza gli acquisti, prevedendo di poter spendere meno anche solo tra pochi giorni.

Una spirale deflazionistica che sta creando gravi difficoltà anche nell’assorbire la domanda di lavoro. La disoccupazione giovanile è a livelli tali che da diversi mesi lo Stato semplicemente non la calcola più, rifiutandosi di comunicare il dato. Unica soluzione a questa situazione è lo sbocco estero, non una novità per un Paese che ha fatto dell’export la sua fortuna. Ma la situazione geopolitica internazionale non è più quella di un decennio fa.

La guerra commerciale e i dazi europei: Pechino non riesce più a esportare come prima

Fin dall’inizio della presidenza Trump gli Stati Uniti hanno iniziato a mettere ostacoli alle esportazioni cinesi. Durante gli ultimi anni questo atteggiamento ostile si è trasformato in una guerra commerciale specialmente sui prodotti tecnologici di Pechino, su cui l’economia del gigante orientale puntava molto. La Cina ha comunque trovato altre vie per la sua esportazione che però non si sono rivelate altrettanto redditizie. Lo dimostrano i dati sull’export, che mostrano una crescita dei volumi di oltre il 4%, accompagnata da un aumento del valore dell’1,4%.

La Cina esporta quindi molta più merce, ma ne ricava relativamente poco profitto. Un esempio è l’e-commerce portato avanti tramite aziende come Temu. Sfruttando il regime de minimis, queste società esportano moltissimi carichi con piccole quantità di merci in Europa e negli Usa, senza pagare dazi o dogane. Ora però sia Ue che Stati Uniti vogliono modificare le normative per rallentare il fenomeno, che ha anche causato un picco nel costo dei trasporti logistici aerei.

All’ostilità americana si è poi aggiunta anche quella dell’Ue, in particolare su tutti i prodotti cinesi relativi alla transizione energetica, dalle auto elettriche ai pannelli solari. La Commissione europea ha accusato Pechino di una pratica chiamata dumping. Il governo cinese avrebbe finanziato con aiuti di Stato le sue aziende, in modo che potessero produrre in perdita prodotti a costo bassissimo per mandare fuori mercato le concorrenti europee. La risposta è stata l’istituzione di dazi doganali criticatissimi da Xi Jinping, ma che potrebbero ostacolare le esportazioni di cui la Cina ha disperatamente bisogno.

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