La rete autostradale italiana è allo stremo, una bomba a orologeria che non aspetta altro che deflagrare. Nomisma, nel suo rapporto “Il ruolo delle autostrade per lo sviluppo del Paese”, mette nero su bianco la necessità di 40-50 miliardi di euro dal 2024 per mettere mano a infrastrutture obsolete e adattarle al traffico in perenne crescita. Non è solo una questione di cifre, ma di sopravvivenza della mobilità e, di riflesso, dell’economia italiana.
Presentato a Roma, lo studio di Nomisma dice che servono 43,7 miliardi di euro di investimenti, a fronte di una disponibilità che si ferma a 10 miliardi. “Le autostrade italiane sono le più vetuste e le più trafficate d’Europa”, ha dichiarato Francesco Capobianco, responsabile degli affari pubblici di Nomisma, descrivendo una situazione in cui il picco di utilizzo del 2023 rischia di diventare la norma anche nel 2024.
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I fondi pubblici coprono solo una parte degli interventi necessari
Solo una frazione degli investimenti necessari arriva dalle casse pubbliche. In numeri, parliamo di meno del 5% del costo stimato per costruire da zero una nuova rete o alternative. Una cifra minima che, se supportata, avrebbe il potenziale di rivoluzionare il sistema produttivo italiano, con effetti a cascata sull’intera economia.
Ma i nodi non finiscono qui. Nomisma punta il dito sulle concessioni autostradali: il 50% scade entro il 2032, mentre entro il 2039 il 90% dell’intera rete dovrà affrontare la stessa sorte. Tempistiche che, secondo l’istituto, non lasciano margine per completare opere di grande portata e rischiano di rendere insostenibili gli investimenti rispetto alla durata utile delle infrastrutture. La soluzione di Nomisma è una proroga delle concessioni, unica strada per non mandare in tilt l’intero sistema.
Infrastrutture datate e traffico in crescita
Le autostrade italiane, vecchie e sovraccariche, raccontano una storia che affonda le radici negli anni Venti del Novecento. Quel primo nucleo di 260 chilometri è stato il punto di partenza di una rete che ha vissuto il suo boom negli anni Sessanta, con 1.300 chilometri di nuove tratte. Ma l’entusiasmo si è spento troppo presto: alla fine degli anni Settanta lo sviluppo si è arenato, lasciandoci oggi con metà delle infrastrutture costruite prima del 1970.
Nel frattempo, il traffico ha continuato a crescere senza tregua. Ogni giorno, quasi 44.000 veicoli si riversano sulle nostre autostrade, una pressione che supera del 40% quella francese e raddoppia quella spagnola. Un peso insostenibile per una rete che non è più in grado di reggere la domanda moderna.
In un Paese dominato da montagne – il 66% del territorio è montuoso – e con treni perennemente in ritardo o in sciopero, muoversi su gomma è un imperativo. Secondo Nomisma, oltre l’80% del trasporto in Italia avviene su strada, e questa dipendenza è destinata a rimanere. Anche nel 2050, l’automobile perderà solo il 3% per il trasporto persone e l’1% per le merci. Un sistema che è già al limite e rischia il collasso senza interventi mirati.
Investimenti e manutenzione: i numeri di un sistema sotto sforzo
Tra il 2009 e il 2021, l’Italia ha messo sul piatto 20,7 miliardi di euro per rimettere in carreggiata una rete autostradale che scricchiola da ogni lato. Da nord a sud si parla sempre delle stesse cose. L’A1 è spesso al centro delle notizie per traffico, ingorghi praticamente certi allo svincolo di Bologna e Firenze, la Salerno-Reggio Calabria è ormai oggetto di meme. Nel 2022, la cifra ha toccato un picco di 2,5 miliardi, mentre per la manutenzione, anno dopo anno, si è raschiato il fondo con una media di 768 milioni di euro, totalizzando 10 miliardi nel periodo 2009-2022. Numeri che fanno intuire uno sforzo, ma lasciano il retrogusto amaro di un’operazione incompiuta.
Nei piani futuri, il 22,9% dei fondi dovrebbe andare alla rigenerazione, il 20,8% a nuove opere, e il resto verrà spalmato su interventi di miglioramento e sicurezza. Intanto, ogni giorno, quasi 44 mila veicoli intasano le nostre autostrade, contro i 20 mila della Spagna.