Lo scenario di una tregua in Ucraina sembrava di difficile percorrenza fin dalle prime ipotesi circolate in estate. Anche con l’arrivo dell’inverno (abbiamo parlato qui dei suoi effetti sul conflitto), le possibilità di un accordo sul cessate il fuoco sembravano aumentate, ma si sarebbe ovviamente trattato di una soluzione comoda alla Russia, in quel momento maggiormente in difficoltà sul campo di battaglia.
La tregua ordinata da Vladimir Putin (il quale teme l’ipnosi: la nuova minaccia del golpe di palazzo) per il Natale ortodosso, in vigore dalle 12 del 6 gennaio alla mezzanotte del 7, ha avuto vita brevissima ed è stata violata dopo neanche 24 ore. I due schieramenti si sono lanciati accuse reciproche di attacchi durante il cessate il fuoco.
Dalla tregua alle accuse (e ai raid) di Natale
Il primo a puntare il dito contro l’avversario è stato il Cremlino, riportando la notizia di almeno tre attacchi a colpi di artiglieria da parte dell’esercito ucraino nell’oblast di Donetsk subito dopo l’annuncio della tregua. “Le truppe russe rispettano il cessate il fuoco, mentre gli ucraini continuano i bombardamenti su aree popolate e sui nostri cittadini“, ha denunciato il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konashenkov.
Dall’altro lato della barricata, non sono certi rimasti a guardare. Secondo Kiev, infatti, anche l’esercito di Mosca avrebbe violato subito la sospensione delle ostilità, colpendo la città di Kramatorsk nell’est del Paese. “Gli occupanti russi hanno bombardato la città due volte con razzi”, ha riferito il vicecapo dell’ufficio di presidenza ucraino, Kyrylo Tymoshenko.
L’allarme ucraino e le minacce russe
L’Ucraina ha poi disegnato i contorni di un allarme più esteso relativo alla minaccia russa. Nel dettaglio un allarme aereo, scattato in tutto il Paese, a seguito del decollo di due caccia dalla base di Baranovichi in Bielorussia, il grande alleato “silente” di Mosca. La popolazione è stata invitata in via precauzionale a recarsi nei rifugi.
Il sospetto, e soprattutto l’accusa, di Kiev nei confronti del Cremlino è che la proposta di tregua possa nascondere una trappola mortale. Il messaggio di pericolo alla popolazione è stato affidato alla vicepremier ucraina Iryna Vereshchuk, la quale ha raccomandato a tutti i cittadini che vivono nelle regioni occupate di evitare di andare in Chiesa o in altri luoghi affollati durante il Natale ortodosso, che si celebra proprio il 7 gennaio.
Il timore, ribadito anche dai militari di stanza sul posto, è quello di azioni belliche a sorpresa da parte delle forze russe. “Abbiamo ricevuto informazioni che i russi stanno preparando attacchi terroristici nelle chiese“, ha aggiunto la vicepremier. Al momento la Russia ha preferito non replicare direttamente alle accuse, mentre la tensione alla scadenza del cessate il fuoco sale sempre di più, aggravando ulteriormente le ipotesi sul “dopo” (ecco il piano di Zelensky per il 2023).
L’Italia invia meno armi all’Ucraina
Intanto l’Occidente rinnova ancora una volta il sostegno militare alla causa ucraina. Francia, Germania, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno addirittura annunciato per la prima volta l’invio di mezzi corazzati da combattimento: complessivamente: nei prossimi due mesi Kiev dovrebbe avere a disposizione 150 tra Bradley americani, Marder tedeschi, Amx-10 francesi e Warrior britannici (qui parliamo invece dei Patriot americani). Il timore di una nuova offensiva russa, insomma, è palpabile.
Nell’elenco dei Paesi europei fornitori manca però l’Italia. Il tutto nonostante il Governo Meloni abbia prorogato ufficialmente le forniture all’Ucraina, scatenando tra l’altro l’ira della Russia negli scorsi giorni. In realtà di armi all’Ucraina il nostro Paese non ne sta inviando più: il sesto decreto di aiuti militari, inizialmente previsto per metà dicembre, continua a essere posticipato. Nel colloquio telefonico con Volodymyr Zelensky del 27 dicembre, Giorgia Meloni ha riferito che l’Esecutivo “sta ancora valutando” l’invio di sistemi contraerei. Nelle prossime settimane si capirà se si tratta di un “normale” ritardo o di un cambio di rotta da parte dell’Italia.