Crollo nascite in Europa, ci sono sempre meno bambini: l’Italia tra le peggiori

Le nascite in Europa sono sempre meno. Il rapporto 2024 fotografa un'Italia alle ultime posizioni, accanto a Malta.

Pubblicato: 7 Marzo 2024 15:08

Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Il fenomeno della denatalità non è né nuovo né tutto italiano. L’intero territorio europeo sta vivendo quello che viene definito “inverno demografico”, ovvero un calo delle nascite. Secondo alcune dichiarazioni, che prediligono un gergo più allarmistico, si può parlare di vero e proprio crollo nel numero dei bambini nati in UE.

Il confronto, proposto da Eurostat, degli ultimi 15 anni di nascite fotografa una generale stagnazione. Il picco dei nuovi bambini nati risale al 2008, quando sono state verificate 4,68 milioni di bambini nati. Un numero irripetibile e che in 15 anni ha continuato a calare. Il tasso di fertilità totale del 2022 (ultimo aggiornamento dei dati Eurostat) segnala 1,46, pari a circa 3,88 milioni di bambini.

Su tutto il territorio europeo però ci sono alcuni Paesi che fanno peggio di altri, come l’Italia e altri Paesi che invece garantiscono un livello di fertilità più alto come la Francia, seguita da Romania e Bulgaria.

Dati sulle nascite in Europa: nel 2022 sempre meno bambini

I primi dati europei sulle nascite sono stati raccolti a partire dagli anni Sessanta. Dalla metà di questi (nel 1964 il picco di nascite fu pari a 6,8 milioni di bambini) e fino alla fine del secolo, nell’Ue i tassi di fertilità sono costantemente diminuiti. Verso gli anni 2000 il raffreddamento demografico ha subito un rallentamento e i tassi di fertilità sono tornati a crescere, mostrando un sostenuto aumento. Un segno positivo che si è però interrotto nel 2010, quando dopo il picco del 2008 con 4,68 milioni di bambini nati, si è tornati a segnare un numero inferiore ai 4 milioni.

Nel 2022 il tasso di fertilità totale nell’Ue – ovvero il numero medio di bambini che nascerebbero vivi da una donna durante la sua vita – è stato di 1,46 nati vivi per donna, poco meno del dato relativo al periodo pandemico: nel 2020 il tasso era pari 1,51 nati vivi per donna, mentre nel 2021 è leggermente aumentato, segnando 1,53.

Il dato risulta in calo per diversi motivi, primo tra tutti il lungo periodo di riduzione delle nascite che ha portato a un numero inferiore di donne in età fertile, dato sul quale si basa proprio il tasso di fertilità totale. Il secondo motivo invece è l’età media del primo parto, che è cresciuta passando da 29 a 31 anni tra il 2001 e il 2022. La nascita del primo figlio viene rimandata e di conseguenza diminuisce il valore di fertilità europeo.

Tasso di fertilità: l’Italia tra le peggiori insieme a Malta

Tra gli Stati membri dell’UE è la Francia a registrare il tasso di fertilità totale più alto nel 2022. Con 1,79 nati vivi per donna, è seguita da Romania (1,71) e Bulgaria (1,65). Al contrario, i tassi di fertilità totale più bassi nel 2022 sono stati registrati da Malta (1,08 nati vivi per donna), Spagna (1,16) e Italia (1,24). Come si apprende dai dati Eurostat, dopo aver raggiunto il minimo tra il 2000 e il 2003, il tasso di fertilità totale è aumentato in molti Stati membri dell’UE e nel 2022 tutti, tranne Spagna, Italia, Lituania, Malta e Polonia, hanno riportato tassi di fertilità totale superiori a 1,30. Un dato che fotografa il crollo della natalità.

Per spiegare il dato italiano si può fare riferimento all’età media in cui si sceglie di far nascere il primo figlio. L’età media in Europa è di 29,7 anni, mentre in Italia si registra il dato più alto, con 31,7 anni, seguita dalla Spagna con 31,6 anni. La motivazione è semplice e racconta molto dell’organizzazione del mondo del lavoro della penisola italiana, non solo per la condizione delle donne lavoratrici, ma anche per i giovani in cerca di stabilità economica prima di mettere su famiglia e progettare la nascita dei propri figli. Dopotutto un figlio è costoso e in Italia gli stipendi non aumentano da 30 lunghi anni. La combo è esplosiva: si rischia di perdere il 18% del PIL entro il 2040.

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