Le tragedie umanitarie che la guerra in Ucraina ha creato e continua a creare sono immani e vengono fuori poco per volta, per giunta edulcorate. Però vengono fuori. Una delle ultime (in ordine cronologico) riguarda una questione denunciata anche negli scorsi mesi: quella dei bambini ucraini deportati in campi di rieducazione russi.
La deportazione di bambini ucraini
A tracciare i contorni di questa orribile vicenda è un report della Yale School of Public Health, pubblicato in occasione del primo anniversario dell’invasione russa. Si parla di almeno 6mila bambini ucraini condotti in Russia per essere “rieducati”, come è avvenuto in centinaia di casi simili durante le guerre nel corso dei secoli. I cosiddetti “campi di rieducazione” individuati dai ricercatori sono 43, di cui sette nell’occupata e annessa Crimea (intanto la Cina vuole la pace tra Russia e Ucraina: l’accordo segreto).
La deportazione termina in alcuni casi con la riconsegna dei minori alle famiglie di origine, mentre in molti altri dei ragazzini si perde ogni traccia. Il report parla di un sistema complesso, in cui i genitori ucraini forniscono formalmente il consenso per mandare i figli in queste strutture. “I dati evidenziano che molti dei consensi vengono dati sotto costrizione“.
Incrociando analisi di intelligence occidentali e ucraine e dati forniti da fonti russe, già nell’autunno 2022 era venuta fuori la diffusione del fenomeno dell’adozione forzata di bambini ucraini da parte di famiglie russe. L’Institute for the Study of War ha posto l’attenzione su una serie di documentari, girati da blogger della Federazione, con diversi bambini ucraini del Donbass adottati da famiglie russe. Si parla di oltre 150mila minori nel solo 2022. Lo stesso commissario della Federazione Russa per i diritti dei bambini ha sempre sostenuto le deportazioni e le adozioni di bambini ucraini, affermando di aver accolto lei stessa in famiglia un minorenne originario di Mariupol. Lvova-Belova è tutrice legale di 22 bambini, perlopiù adottati, ed è stata sanzionata da diversi Paesi occidentali per il suo supporto incondizionato all’invasione dell’Ucraina.
I programmi di adozione forzata e la deportazione di bambini, con il pretesto di programmi di vacanza e riabilitazione, sono una parte importante della massiccia campagna contro lo spopolamento in Russia. La propaganda del Cremlino lo “vende” come uno slancio umanitario, una prova in più della volontà di aiutare il popolo ucraino a liberarsi dal neonazismo di chi governa e dal giogo occidentale, che “in realtà non si preoccupa di chi vive in questa terra” (l’allarme sulle navi russe nel Mediterraneo: cosa succede).
I campi di rieducazione russi
I minori portati nei campi di rieducazione russi hanno un’età compresa tra i 4 mesi e i 17 anni. Molti sono orfani di guerra, ma la maggior parte proviene da famiglie povere. Per necessità, debolezza o costrizione, i genitori acconsentono al trasferimento perché così i loro figli “avranno almeno cibo a sufficienza”. Un degrado umano indicibile, purtroppo comune a tutte le guerre.
Nei casi in cui i genitori dicono “no” al trasferimento dei figli, i russi passano spesso e volentieri al sequestro. Spesso i minori provengono da città ucraine sotto controllo russo e la deportazione viene giustificata “per ragioni di sicurezza o di salute”. Secondo la Yale School, i primi casi risalgono già a febbraio 2022, il mese dell’invasione.
Prima di essere riconvertiti, i campi di rieducazione erano “semplici” campi estivi. “Almeno il 78% dei centri sembra essere impiegato nella rieducazione dei bambini”, riferiscono i ricercatori. Una rieducazione “totale”: culturale, patriottica e militare. Nella pratica: lezioni di storia e addestramento fisico, libri e fucili. Lezioni volte a formare perfetti patrioti russi. Finora non sono pervenute notizie di maltrattamenti, abusi sessuali o violenza fisica. Resta quella psicologica, profondissima.