Alessandro Profumo, Fabrizio Viola, ex dirigenti di Banca Monte dei Paschi di Siena – Mps, e Paolo Salvadori, all’epoca presidente del collegio sindacale, insieme alla banca, sono stati assolti in appello nel contesto del processo riguardante falso in bilancio e aggiotaggio nel filone d’indagine relativo alla registrazione contabile dei derivati Santorini e Alexandria.
Il Tribunale aveva inflitto condanne di 6 anni per i primi due imputati, 3 anni e mezzo per il terzo, e una sanzione pecuniaria di 800 mila euro a Monte Paschi. La decisione di assoluzione è giunta dopo la conferma da parte della Cassazione delle assoluzioni di tutti gli imputati nel procedimento principale legato al caso dell’istituto di credito. Un’assoluzione che arriva dopo quella dell’ex presidente Giuseppe Mussari e dell’ex direttore generale Antonio Vigni nel maggio 2022, confermata dalla Cassazione lo scorso ottobre. Il titolo ha immediatamente accelerato al rialzo a Piazza Affari, chiudendo a +2,93% a 3,367 euro.
Questo è solo l’ultima delle vicende che ha segnato la storia recente di Mps, e che vede nell’assoluzione di Profumo e Viola la chiusura di un capitolo durato 11 anni, ma che ha radici più lontane.
La vicenda giudiziaria: le operazioni sui derivati e Antonveneta
Le vicende di Mps hanno per anni sono state al centro dei giornali e tv; per capire i motivi bisogna riavvolgere il nastro e tornare al novembre 2007, quando Monte dei Paschi e l’allora Banco Santander stipulano un accordo per l’acquisizione di Banca Antonveneta da parte dell’istituto senese, con una transazione dal valore considerevole di 9 miliardi di euro. Tale operazione è stata successivamente denominata “il peccato originale” da molti attori del mercato.
Il 9 novembre 2007, viene diffusa la nota ufficiale dell’accordo tra Santander e Mps, la quale afferma: “Secondo le intese raggiunte, il Banco Santander, non appena avrà completato l’acquisizione di Banca Antonveneta in corso con ABN AMRO, ne cederà l’intero capitale a Banca Monte dei Paschi di Siena al prezzo di 9 miliardi di euro, al netto della partecipazione in Interbanca. Le intese prevedono infatti che in concomitanza con il passaggio di Antonveneta alla banca senese, Interbanca uscirà dal gruppo Antonveneta.”
Questa mossa, dal punto di vista strategico, era finalizzata a garantire una “significativa crescita dimensionale, con l’incremento della rete sportelli (da 2000 a 3000 unità) e della quota di mercato (dal 6% al 9%)” e a generare “un’elevata creazione di valore”. L’obiettivo era consolidare il ruolo di terzo polo bancario in Italia. La strategia, guidata dal neo presidente Mussari (appena nominato su indicazione della Fondazione Monte dei Paschi di cui era presidente uscente), mirava a consentire all’istituto di espandersi e competere con le principali istituzioni finanziarie nazionali.
Il piano industriale per il triennio 2008-2011, sviluppato subito dopo l’acquisizione, prevedeva un utile netto di 2,2 miliardi di euro alla fine del periodo. Tuttavia, al termine del 2011, Monte dei Paschi registrò una perdita di 4,7 miliardi di euro, contrariamente alle previsioni iniziali.
Le scelte di finanza strutturata degli anni 2000
Prima dell’acquisizione di Antonveneta, Monte dei Paschi aveva già intrapreso complesse operazioni finanziarie, inclusa la sottoscrizione dei contratti derivati Santorini nel 2002 e Alexandria nel 2005 (con Deutsche Bank e Nomura rispettivamente).
Nel 2006, è stata introdotta la ‘Nota Italia’, descritta dalla stessa Mps come “l’investimento effettuato in un prodotto di credito strutturato al quale era associata la vendita da parte della Banca di protezione sul rischio sovrano della Repubblica Italiana”. Tale accordo ha permesso a Monte dei Paschi di vendere i contratti credit default swaps (CDS) sull’Italia alla banca americana J.P. Morgan. Come evidenziato dalla Consob, “I CDS possono rappresentare uno strumento più efficiente e immediato per assumere posizioni corte sul rischio di credito rispetto alla vendita allo scoperto di titoli obbligazionari”.
In quegli anni, lontani dalla crisi del debito sovrano, queste operazioni garantivano un rendimento minimo alla banca, considerando il rischio relativamente modesto. Questa situazione perdurò fino al 2011, quando la crisi finanziaria esplose. Con la crisi dei mutui subprime, che causò il crollo di Lehman Brothers e ebbe impatti sui mercati finanziari, iniziarono a emergere i cosiddetti titoli “tossici”.
Gli anni della crisi economica
Successivamente, si aprirono gli anni della crisi economica che portarono l’Italia sull’orlo del default; lo spread crebbe a livelli eccezionali e il valore di mercato dei bond italiani colò a picco, provocando un aumento significativo del valore dei Credit Default Swaps (CDS) di Monte dei Paschi, i quali sei anni prima avevano un costo molto più contenuto. Mps si trovò costretta a registrare svalutazioni per 4,51 miliardi di euro e chiuse il 2011 con una perdita netta di 4,69 miliardi. Il valore delle azioni in Borsa subì un drastico crollo, perdendo la metà del suo valore nel corso del tempo.
Tutte le operazioni legate ai derivati avevano consentito di occultare le perdite nei bilanci, impedendo alla Banca d’Italia di intervenire tempestivamente con un piano di salvataggio. Nel luglio di quell’anno, Monte dei Paschi addirittura superò uno stress test della Banca Centrale Europea, una simulazione volta a valutare se una banca dispone di un capitale sufficiente per resistere a shock sistemici, basandosi su dati all’epoca distorti.
7 aumenti di capitale in 15 anni
Per tentare di salvare la banca, nel corso degli anni sono stati effettuati ben sette aumenti di capitale, distribuiti su un periodo di 15 anni. L’ultimo di questi si è verificato nell’ottobre 2022, ammontando a 2,5 miliardi di euro. Questo dettaglio offre un’indicazione significativa sull’efficacia salvifica delle ultime ricapitalizzazioni nel corso degli anni.
Per quanto riguarda il settimo aumento di capitale, furono stipulati contratti per un importo massimo di circa 900 milioni di euro. Di questa somma, 807 milioni provenivano da un consorzio di banche, tra cui Mediobanca, Credit Suisse, BofA Securities, Citigroup, Credit Suisse e altre. Algebris contribuì con 50 milioni, mentre fondi e investitori privati versarono 37 milioni. Il Tesoro-Mef garantì per 1,606 miliardi, corrispondenti alla sua quota di primo azionista, detenendo il 64,2% del capitale.
La mossa del Mef
Attualmente, l’attenzione del mercato si focalizza sulle recenti iniziative del governo. Nel 2017 il Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) è diventato il principale azionista di Monte dei Paschi. In qualità di primo azionista, detenendo il 64,2% del capitale, il Tesoro ha ufficialmente avviato il processo di privatizzazione di Mps.
A ottobre, il Mef ha annunciato: “È stato avviato oggi il processo di selezione per l’individuazione dei consulenti finanziari e legali che assisteranno il Ministero dell’Economia e delle Finanze nell’individuazione delle migliori modalità di dismissione della partecipazione di controllo nella Banca Monte dei Paschi di Siena e forniranno tale supporto in tutte le fasi di attuazione dell’operazione. L’obiettivo del Ministero è quello della piena valorizzazione della partecipazione, da realizzarsi nell’interesse della Banca e di tutti i suoi azionisti, tenuto conto del miglioramento della redditività e dell’accresciuta patrimonializzazione, nonché delle prospettive di ulteriore sviluppo.”
In sintesi, l’obiettivo del Ministero è massimizzare il valore della partecipazione, nell’interesse della banca e di tutti gli azionisti, considerando miglioramenti nella redditività, accrescimento del patrimonio e prospettive di sviluppo aggiuntive.
A novembre di quest’anno poi, il Ministero dell’Economia, dato il clima positivo del mercato azionario, ha ceduto il 25% delle azioni di Monte dei Paschi, immettendo così sul mercato circa 315 milioni di azioni. Questa mossa ha portato la partecipazione del Tesoro dal 64,2% al 39,2% del capitale della banca senese.
Le assoluzioni di Mussari e Vigni
Si arriva così ad ottobre, quando i processi nati più di 10 anni fa arrivano finalmente a conclusione. Il 15 ottobre la Cassazione dichiarò “inammissibile” il ricorso della Pg di Milano contro le assoluzioni di tutti i 15 imputati per le presunte irregolarità nelle operazioni di finanza strutturata Alexandria e Santorini, Chianti Classico e Fresh, realizzate da Mps tra il 2008 e il 2012. Vennero quindi confermate, tra le altre, le assoluzioni dell’ex presidente di Mps Giuseppe Mussari e quella dell’ex Dg Antonio Vigni, come deciso in appello il 6 maggio 2022, oltre che dei manager di Deutsche Bank e Nomura. Mentre erano stati condannati in primo grado. Inammissibile anche il ricorso della Consob.
Le accuse riguardavano presunte irregolarità nelle operazioni Alexandria e Santorini, Chianti Classico e Fresh, effettuate per coprire le perdite provocate dall’acquisto di Antonveneta. Accuse oggi cadute con la sentenza dei supremi giudici che hanno confermato l’assoluzione anche per le società del gruppo Deutsche Bank e Nomura, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore generale Francesca Loy. In primo grado Mussari era stato condanno a 7 anni e mezzo mentre Vigni a 7 anni e 3 mesi, sentenza poi appunto ribaltata in Appello.
Perchè Profumo e Viola erano stati condannati i primo grado
Oggi è invece arrivata l’assoluzione di Profumo e Viola, con la Corte che ha assolto gli imputati con la formula “perché il fatto non sussiste”. I giudici hanno anche revocato le statuizioni civili. Il sostituto pg Massimo Gaballo, oltre a chiedere la conferma della condanna a 6 anni di reclusione e della multa di 2,5 milioni di euro per Viola e per Profumo e la sanzione pecuniaria di 800 mila euro per Mps, aveva proposto di accogliere ai fini civilistici i ricorsi delle oltre duemila parti civili. Per Salvadori invece la richiesta era la nullità della sentenza per incompetenza territoriale e il trasferimento a Siena degli atti.
Nel corso del procedimento, si è investigato sulla presunta “erronea” e “persistente” registrazione nei libri contabili della Banca di Siena delle transazioni legate ad Alexandria e Santorini. Tali transazioni, precedentemente stipulate con Deutsche Bank e Nomura durante la gestione di Giuseppe Mussari come presidente dell’istituto, sarebbero state inizialmente registrate come operazioni di pronti contro termine sui titoli di stato, ovvero a saldi aperti, anziché come strumenti derivati, e quindi a saldi chiusi.
L’atto contabile si sarebbe verificato nei periodi 2012, 2013 e 2014, nonché nella prima semestrale del 2015, periodo in cui Viola e Profumo ricoprivano ruoli di vertice all’interno della banca. L’accusa avrebbe sostenuto che tale registrazione avesse l’intenzione di occultare le perdite finanziarie subite da Rocca Salimbeni dopo l’acquisizione di Antonveneta. Le operazioni finanziarie strutturate, notevolmente rilevanti nel procedimento principale, sarebbero state denominate Alexandria e Santorini, Chianti Classico e Fresh. Questo procedimento sarebbe stato stato il nucleo centrale da cui sono poi scaturiti altri procedimenti giudiziari, concludendosi infine con l’assoluzione definitiva di tutti gli imputati.