Entra in vigore la legge sull’equo compenso, la norma introdotta dal Governo Meloni per garantire il diritto dei professionisti di ricevere una parcella adeguata “alla qualità e alla quantità del lavoro svolto”, al riparo da clausole contrattuali vessatorie. Il provvedimento stabilisce per banche, assicurazioni, pubblica amministrazione e grandi imprese l’obbligo di rispettare i parametri ministeriali sul pagamento delle prestazioni dei lavoratori autonomi.
Equo compenso: a chi è rivolta la legge
La legge 49/2023 è diretta a tutti i professionisti, sia quelli iscritti a un Ordine che quelli appartenenti alle professioni non regolamentate, come, ad esempio, amministratori di condominio, i tributaristi e i revisori legali). La norma stabilisce che l’equo compenso sarà determinato per i primi dai parametri previsti dai decreti ministeriali, mentre per i secondi il ministero delle Imprese e del Made in Italy dovrà fissare dei valori di riferimento (qui abbiamo spiegato chi sono i beneficiari della legge sull’equo compenso).
Il lavoro dei tecnici dell’ex Mise dovrà però includere anche la revisione dei parametri ministeriali già esistenti, da ripetersi poi ogni due anni. Tra le professioni ordinistiche, infatti, i criteri sono aggiornati soltanto per gli avvocati, mentre per molti altri lavoratori i valori risultano inadeguati perché superati e perché non tengono conto di nuove competenze.
Equo compenso: le criticità
Nella normativa sull’equo compenso non mancano altre criticità. Secondo i rappresentanti delle categorie il numero dei soggetti pubblici e privati chiamati a rispettare le nuove regole sarebbe troppo ristretto: circa 27mila enti della Pa e 51mila imprese private, su un totale di circa sei milioni presenti in Italia.
La legge prevede, infatti, che l’obbligo di riconoscere una remunerazione adeguata ai professionisti è imposto alle realtà con minimo 50 dipendenti e un fatturato di almeno 10 milioni di euro all’anno (qui per conoscere i lavori più ricercati per l’Estate 2023).
A queste condizioni si aggiungono le eccezioni presenti nell’articolo 8 del nuovo Codice appalti, il Dlgs 36/2023, che, pur richiamandosi ai principi dell’equo compenso, prevede la possibilità di incarichi gratuiti per i professionisti. ”Le prestazioni d’opera intellettuale – recita l’articolo – non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione”.
Questo vale anche se, come specificato nello stesso articolo 8, “la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso”.
Rilievi da parte dei rappresentanti delle categorie sono state fatti anche sulla mancata applicazione retroattiva della legge, in quanto non sono soggette alle nuove regole le convenzioni in essere, cioè quegli accordi quadro in base ai quali vengono poi sottoscritti dei contratti: i nuovi contratti stipulati in base a vecchie convenzioni non sarebbero inclusi nella normativa sull’equo compenso.
Un’altra problematica è rappresentata, infine, dal sistema sanzionatorio che si rifarebbe soprattutto sul professionista che accetta compensi non adeguati al proprio incarico.
Il provvedimento indica per quali clausole può scattare la nullità dei contratti tra professionista e committente, rilevabile anche d’ufficio. Oltre agli accordi basati su parametri non congrui, sono nulli anche tutti i contratti che prevedono l’anticipazione delle spese a carico del professionista o che vietano di prevedere acconti. L’iscritto che accetta incarichi al di sotto delle soglie dei parametri può essere sanzionabile da parte dell’Ordine anche dal punto di vista deontologico.
Mancherebbe però un soggetto che sanzioni i professionisti non iscritti ad un Ordine.