Gli italiani amano lo smart working, 1 su 4 cambierebbe lavoro pur di non tornare indietro

Le Pmi sono timide quando si parla di smart working, mentre le grandi aziende hanno fiutato l'opportunità: i dati dell'Osservatorio del Politecnico di Milano

Pubblicato: 3 Novembre 2024 15:24

Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Una ricerca del Politecnico di Milano evidenzia come lavorare in smart working abbia fatto breccia nel cuore degli italiani: il 73% degli occupati attualmente in smart working non vorrebbe rinunciarvi e il 27% sarebbe pronto a cambiare lavoro in caso l’opportunità gli venisse revocata; il 46% tenterebbe di convincere il capo a mantenere la flessibilità del lavoro agile. Lo studio dimostra come il lavoro agile sia tuttora molto apprezzato, soprattutto dopo l’esperienza della pandemia.

Come testimoniano i dati, lo smart working viene considerato un fattore d’attrazione per i lavoratori e le aziende potrebbero utilizzarlo per mantenere i talenti.

Il ricorso allo smart working in Italia

Per smart working gli studiosi intendono “una filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati“.

Secondo i dati dell’Osservatorio smart working del Politecnico, l’accesso a questa modalità è tuttavia limitato con significative differenze tra grandi imprese, Pmi, microimprese e Pubblica amministrazione. Il numero di lavoratori da remoto è rimasto quasi stabile nel 2024 con 3,55 milioni di persone, leggermente in calo rispetto ai 3,58 milioni del 2023. Si tratta di una flessione del -0,8%.

Nelle grandi imprese il lavoro agile cresce significativamente, coinvolgendo quasi 2 milioni di lavoratori (1,91 milioni), con il 96% delle grandi realtà produttive che ormai adottano iniziative di smart working. La crescita è del +1,6% sul 2023. Nelle Pmi si registra una riduzione da 570.000 a 520.000 smart worker rispetto all’anno scorso. Nelle microimprese la situazione resta sostanzialmente stabile: 625.000 lavoratori nel 2024 e 620.000 nel 2023; nella Pubblica amministrazione si parla di 500.000 lavoratori nel 2024 e 515.000 nel 2023.

Per il 2025 si prevede una crescita del +5%, che porterebbe la quota di lavoratori in smart working a 3,75 milioni. Tutte le grandi imprese prevedono di conservare gli attuali assetti relativamente allo smart working. Ci si attende una crescita, in termini di personale coinvolto o di policy, pari al (+35%). A seguire, la Pa (+23%) e le Pmi (+9%).

Quanti giorni in smart working

Le grandi aziende permettono ai loro lavoratori di prestare l’opera in smart working per una media di 9 giorni al mese; la media cala a 7 giorni nel settore pubblico e a 6,6 giorni nelle Pmi.

Maggiore flessibilità

In caso dovesse venire meno la possibilità di aderire al lavoro agile, i lavoratori chiederebbero ai datori di lavoro di compensare tramite  maggiore flessibilità oraria o aumentando gli stipendi di almeno il +20%.

Solo il 19% di chi è tornato a lavorare in azienda l’ha fatto per scelta personale, perché non aveva più la necessità di lavorare da remoto o per socializzare con i colleghi; il 23% è stato trasferito a nuove mansioni che non possono venire espletate da remoto e il 58% ha subito una decisione presa dai vertici dell’azienda.

Ma oltre allo smart working, emergono sempre nuove forme di flessibilità. Meno di una azienda su 10 ha adottato la settimana corta, ma l’idea starebbe suscitando sempre maggiore interesse.

Riguardo al lavoro agile, il principale rischio percepito dalle aziende è la perdita di senso di appartenenza e la riduzione dell’engagement (per il 57% delle grandi imprese), mentre per il 46% la preoccupazione riguarda soprattutto la sicurezza dei propri dati.

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