Bonus mamme? In Italia 1 donna su 5 lascia il lavoro dopo aver avuto un figlio

Il governo Meloni punta, dice, a potenziare il bonus mamme. I dati in Italia sulle madri lavoratrici: solo il 57,8% di quelle con 2 o più figli minori lavora

Pubblicato: 22 Agosto 2024 17:19

Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Il governo Meloni dice di volere potenziare i bonus mamme, tutto quell’universo cioè (a dire il vero piuttosto piccino) che raccoglie piccoli aiuti alle donne mamme che lavorano; che lavorano come dipendenti, s’intende, altrimenti niente. Sarebbe un ottimo segnale, di rottura, se davvero si andasse nella direzione di potenziare il ruolo delle donne italiane nel mondo del lavoro, di appianare i tanti gap esistenti rispetto alle condizioni degli uomini. Ma per farlo serve prima di tutto sostenere le famiglie che hanno figli. Senza questo, ogni tentativo di equilibrio di gender lavorativo diventa inutile.

Il futuro dei bonus mamma

Secondo gli ultimi dati Inps aggiornati al 30 giugno e appena pubblicati, il Bonus mamma nei primi sei mesi del 2024 è andato a 627mila donne. Ma dal 2007, in Italia il tasso di fecondità è rimasto sotto 1,5 figli per donna, nonostante l’introduzione di alcune misure, come l’Assegno unico. Palese la necessità di politiche sistemiche di sostegno alle famiglie e di un cambiamento culturale che promuova la parità di genere e la condivisione delle responsabilità familiari. Ma vediamo un po’ di dati, per capire di cosa stiamo parlando.

Dal congedo parentale all’80% all’esenzione totale dei contributi, le proposte rilanciate, per ora a voce, dal governo Meloni per aiutare le mamme lavoratrici sono diverse. La ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone ha assicurato che l’Esecutivo farà di tutto per potenziare i sostegni alle madri. Ma quante sono le donne in Italia che lavorano e quante quelle che, una volta diventate mamme, devono lasciare il lavoro? Sì, “devono”, non “vogliono”.

Quante donne lavorano in Italia

Una preziosa analisi dello stato di salute del lavoro delle donne in Italia ci arriva dal Rapporto “Le Equilibriste” 2024 di Save The Children. Il tasso di occupazione femminile in Italia è (dato 2023) del 52,5%, ben 13 punti percentuali sotto la media europea, pari al 65,8%. Il divario tra l’occupazione maschile e femminile è del 17,9%, molto più marcato rispetto alla media europea del 9,4%, e secondo solo alla Grecia.

Le donne italiane affrontano costantemente il dilemma tra carriera e famiglia. Secondo il Rapporto, le difficoltà di conciliare lavoro e famiglia emergono chiaramente: mentre il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 54 anni è del 63,8%, solo il 57,8% di quelle con 2 o più figli minori lavora, rispetto al 68,7% delle donne senza figli.

Il problema è particolarmente sentito per le donne con figli in età scolare: nel 2021, per ogni 100 donne senza figli occupate, solo 73 con figli lavoravano.  La situazione è ancora più critica al Sud, dove solo il 48,9% delle donne senza figli lavora, percentuale che scende al 42% per quelle con figli minori. Per gli uomini, neanche a dirlo, il tasso di occupazione è significativamente più alto (sfiora l’83,7%), e cresce ulteriormente in presenza di figli.

Quante donne lasciano il lavoro e perché

I dati dicono che 1 donna su 5 abbandona il lavoro dopo essere diventata mamma. Le dimissioni “volontarie” delle mamme sono una cartina di tornasole evidente: nel 2022, il 72,8% delle convalide di dimissioni per genitori di bambini piccoli riguardava donne.

Oltre a questo, ci sono i dati sulla denatalità. Il 2023 ha segnato un nuovo minimo storico per le nascite nel nostro Paese, con il numero di nuovi nati stabilmente sotto le 400mila unità e un calo del 3,6% rispetto al 2022. Le donne italiane fanno sempre meno figli: 1,20 a testa, per l’esattezza. Trend in atto da decenni, ma che ora tocca anche le straniere residenti in Italia: nel 2023, i bambini nati da genitori non italiani sono stati 3mila in meno rispetto all’anno prima.

L’analisi evidenzia fin troppo bene che, sebbene la scelta di posticipare la maternità e la bassa fecondità siano influenzate da diverse cause, l’aumento della partecipazione femminile al lavoro è correlato a un aumento del tasso di fecondità. Questo è particolarmente significativo in un mercato del lavoro dove il gender gap rimane ampio.

Una componente importante del gender gap è poi il tempo dedicato al lavoro di cura, che continua a essere sbilanciato nel corso degli anni. Secondo i dati riportati dall’Ilo (relativi al 2018 perché di più aggiornati non ce ne sono), le donne dedicano in media 5 ore e 5 minuti al giorno al lavoro non retribuito di assistenza e cura, mentre gli uomini solo un’ora e 48 minuti. Le donne quindi si assumono il 74% del carico complessivo delle ore di lavoro non retribuito dedicato all’assistenza e alla cura.

Poi, c’è un gender pay gap molto pesante. Nonostante mediamente le donne in Italia raggiungano livelli di istruzioni più alti degli uomini, nel settore privato persiste una netta disparità di stipendio a sfavore delle donne lungo tutto il percorso di carriera, con un vantaggio retributivo per i maschi lavoratori che sfiora il 40% negli stipendi annuali e il 30% nelle retribuzioni giornaliere.

Il divario salariale tra uomini e donne persiste anche al netto di differenze osservabili nelle caratteristiche sociodemografiche individuali e lavorative. “Questo suggerisce che non sono solo le caratteristiche individuali a rendere questo gap così importante, ma altri fattori, come discriminazioni di genere, dinamiche di mercato, politiche aziendali o altre disuguaglianze sistemiche nel trattamento di lavoratrici e lavoratori” si legge nel Rapporto. Non solo. Appena diventate mamme, le donne subiscono un taglio del loro compenso:si chiama “motherhood penalty“.

L’occupazione femminile potrebbe crescere del 14% in 6 anni

Cosa fare, quindi? Il Rapporto di Save The Children va oltre e prova a lanciare alcune proposte molto interessanti, dati alla mano. Per esempio, stima che eliminare il divario di occupazione legato alla maternità potrebbe aumentare l’occupazione femminile del 6,5% entro il 2040 e ridurre il gender gap addirittura del 38%. Estendendo questa misura a tutte le mamme, l’occupazione femminile potrebbe crescere di 14 punti percentuali entro il 2030, eliminando l’85% del divario di genere attuale.

Altrove come hanno fatto? Alcuni Paesi europei hanno adottato politiche più efficaci per sostenere la natalità. La Francia, ad esempio, ha mantenuto un tasso di fecondità vicino a 2 figli per donna grazie a un robusto sistema di supporto alle famiglie, mentre la Finlandia ha sperimentato un aumento della natalità tra il 2019 e il 2021 grazie a una riforma innovativa del congedo parentale. In Germania, il tasso di fecondità è diminuito nel 2022 nonostante il sostegno economico e l’accesso garantito ai servizi per l’infanzia. In Repubblica Ceca un nuovo sistema di congedo parentale prevede un’assenza dal lavoro di maternità di 6 mesi che paga alle madri circa il 70% del reddito lordo.

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