I permessi retribuiti per assistere cane e gatto potrebbero diventare legge

Scopri come funzionano oggi i permessi retribuiti per accudire animali da compagnia: le condizioni fissate dalla Corte di Cassazione e le possibili novità in arrivo

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Tra le notizie di ambito sportivo, in questi giorni ha destato curiosità quella secondo cui il pilota di Formula 1 Lewis Hamilton ha deciso di saltare alcune attività di lavoro in Ferrari, per assistere il cane gravemente malato.

Al di là dell’umanità del gesto, il fatto è di spunto per ricordare come funzionano oggi i permessi lavorativi per assistere i propri animali domestici e cosa potrebbe cambiare a breve. Forse non tutti sanno che esistono anche queste specifiche agevolazioni, a patto che il proprietario rispetti le condizioni definite da una sentenza della Corte di Cassazione.

Tuttavia, in materia, mancano regole di legge valide per tutti e, proprio per questo, vedremo insieme qual è la proposta di legge ora in discussione in Parlamento, ricordando anche qual è la linea giurisprudenziale della Suprema Corte, che ha fatto da apripista.

Le condizioni fissate dalla Cassazione per accedere ai permessi

I giudici di piazza Cavour, con la sentenza n. 15076 del 2018, hanno detto sì ai permessi, retribuiti in busta paga, per accudire i propri animali in gravi condizioni di salute e bisognosi di cure veterinarie urgenti.

In sostanza, la pronuncia della Corte estende la portata dei “gravi motivi personali e familiari” che valgono per giustificare un permesso di assistenza a un familiare in malattia. Anticipando gli esiti di cui alla legge dello scorso maggio, che ha inasprito le pene per i reati di maltrattamento e abbandono, la decisione in oggetto ha in pratica esteso il concetto di “familiare” – comprendendo anche gli animali da compagnia.

Inoltre, ha sancito che il dipendente ha diritto ai permessi pagati in ipotesi di necessità sanitarie urgenti e non rinviabili e, soprattutto, quando non si hanno altri familiari (coniuge, figli ecc.) che possano assistere l’animale, in via sostitutiva. Avendo un certificato del veterinario che attesta lo stato di salute del proprio pet, il datore di lavoro non può opporsi e deve accordargli l’agevolazione.

I rischi penali derivanti dalla mancata iniziativa del proprietario dell’animale

Anzi – come indica la sentenza – la mancata iniziativa del padrone porterebbe ad applicare l’art. 727 del Codice Penale, che disciplina il reato di abbandono punito sia con la detenzione che una pesante sanzione in denaro. Infatti, la responsabilità penale per maltrattamento di animali può aversi anche per comportamenti colposi di incuria e abbandono, e non soltanto per crudeltà intenzionali.

Ecco perché il dipendente va tutelato, consentendogli di poter usare un permesso apposito, se vive da solo, è in possesso di un certificato veterinario attestante la malattia, ha bisogno urgente di assistere l’animale e non ha alternative per trasporto o cura.

La tutela del proprio animale domestico – come ad es. la morte di un familiare o l’assistenza a un familiare disabile – è anch’essa un “grave motivo familiare e personale”, che giustifica un permesso retribuito. E chi se ne prende cura, ne è responsabile fino a essere penalmente perseguibile.

La copertura offerta dal nuovo permesso per assistenza cani e gatti

Dopo alcuni anni dalla storica pronuncia della Corte di Cassazione, in Parlamento potrebbero presto arrivare novità molto importanti. In questo periodo, nelle commissioni è in discussione una specifica proposta di legge per l’introduzione – nella rete dei permessi lavorativi retribuiti – anche di quelli per accudire i propri animali domestici, che si trovino in gravi condizioni di salute.

Di fatto, il senso della pronuncia della Corte si tradurrebbe in regola non più giurisprudenziale, ma con forza di legge e – quindi – immediatamente valida per tutti. Non ci sarebbe alcun rischio di vedersi opporre un no dall’azienda, a cui eventualmente reagire segnalando la sentenza del 2018, perché il lavoratore o la lavoratrice potrebbero usufruire di permessi retribuiti:

Tutti i motivi alla base dell’iniziativa all’esame del Parlamento

Scopo della proposta di legge è quello di tutelare – anche da possibili rischi in tema di sicurezza sul lavoro – chi vive il difficile momento del lutto e dello stress, legato allo stato di salute del proprio animale. Inoltre, nella proposta si citano studi scientifici che proverebbero come lo sconforto successivo alla morte del proprio animale da compagnia, possa durare anche fino a un anno, andando a pesare sia sui rapporti interpersonali sia, a maggior ragione, sulla produttività in ufficio.

Da un lato, se approvata dal Parlamento, la norma aderirebbe alla nuova legge che qualifica gli animali come esseri senzienti, membri della famiglia (talvolta al posto dei figli) e – quindi – portatori di diritti e destinatari di tutela giuridica. Dall’altro, riconoscerebbe pienamente il diritto ad aver cura di un affetto importante, come già per i permessi di assistenza ai familiari.

Per il momento, la proposta di legge riguarda cani e felini, perché sono i soli animali domestici obbligatoriamente registrati via microchip nell’Anagrafe degli animali da compagnia. Sono perciò “tracciabili” ai fini dell’accertamento dell’effettivo rapporto di convivenza e allo scopo di evitare possibili abusi nell’utilizzo di questi permessi. Ovviamente, ciò non toglie che la tutela possa essere allargata in futuro, dopo questo primo passo verso la tutela dei lavoratori proprietari degli animali più diffusi in ambito domestico (e sui quali esiste anche una speciale classifica delle città più adatte ad averli).

Ricapitolando la situazione odierna, pur in assenza di una legge specifica, è possibile fare riferimento alla sentenza della Cassazione n. 15076/2018 per richiedere permessi retribuiti in caso di malattia grave del proprio cane o gatto. È fondamentale però ottenere un certificato veterinario e dimostrare che non ci sono alternative per l’assistenza. Parlarne apertamente con il datore di lavoro e documentare la necessità può agevolare l’accesso a un permesso che – però – potrebbe presto diventare legge e comparire nella lettura della busta paga.

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