A Busan, in Corea del Sud, si sta svolgendo un vertice cruciale per la definizione di un Trattato globale sulla plastica. I rappresentanti di tutto il mondo sono riuniti per affrontare una questione sempre più pressante: l’inquinamento da plastica, un problema che rischia di aggravarsi al punto da raddoppiare entro il 2050. Tuttavia, c’è un elemento che minaccia la credibilità e l’efficacia dei negoziati: l’ingombrante presenza delle lobby.
Proprio come accaduto alla recente Cop29 sul clima, tenutasi a Baku, il paradosso si ripete anche a Busan. La conferenza, finalizzata a contrastare la crisi climatica e ridurre l’impatto della plastica, è presidiata da centinaia di lobbisti dell’industria dei combustibili fossili e della plastica. Queste lobby cercano di condizionare le decisioni politiche, nonostante il loro coinvolgimento diretto nella crisi ambientale globale.
Il contrasto è evidente: mentre si negozia per limitare l’inquinamento da plastica, i corridoi del summit sono affollati da rappresentanti delle stesse industrie responsabili della produzione di plastica su scala globale. La loro influenza rischia di compromettere l’obiettivo del trattato, che dovrebbe porre fine all’uso smodato della plastica monouso e ridurre drasticamente la produzione di nuovi polimeri.
Se non verranno prese misure decise per limitare questa influenza, il vertice rischia di trasformarsi in un fallimento annunciato, lasciando il mondo sempre più esposto a una crisi ecologica di proporzioni inimmaginabili.
Indice
Lobbisti dell’industria della plastica: una presenza senza precedenti ai negoziati di Busan
La presenza dei lobbisti dell’industria è senza precedenti. Si contano circa 220 rappresentanti di aziende legate ai settori del petrolio, della chimica, degli imballaggi, della cosmetica e persino della componentistica automobilistica. L’obiettivo di queste figure è chiaro: garantire che la produzione di plastica vergine continui senza restrizioni significative, preservando così i profitti del settore.
Questa massiccia presenza di lobbisti non è casuale. La posta in gioco è alta: il trattato mira a ridurre drasticamente la produzione di plastica, affrontando la crisi ambientale globale. Tuttavia, le divisioni geopolitiche sono nette. Da una parte si trovano i Paesi produttori di combustibili fossili come Arabia Saudita, Russia e Iran, che si oppongono a qualsiasi limite sulla produzione di plastica. Dall’altra, un gruppo di circa 60 nazioni, tra cui alcuni Paesi europei e in via di sviluppo, spinge per un accordo ambizioso e vincolante che freni l’espansione della plastica monouso.
Mai prima d’ora un vertice di tale importanza aveva visto un simile assalto delle lobby. I lobbisti sono impegnati a influenzare le trattative, cercando di rallentare ogni tentativo di introdurre limiti alla produzione futura di plastica. Il loro obiettivo è evitare qualsiasi regolamentazione che possa rappresentare un ostacolo per l’industria petrolchimica e per le aziende che dipendono dalla plastica.
Questa situazione solleva preoccupazioni sulla credibilità del trattato. Se i negoziati saranno dominati dagli interessi dell’industria, il rischio è che le misure proposte siano insufficienti a fermare l’emergenza ambientale in corso. La sfida principale sarà dunque garantire che il trattato risponda alle necessità globali di riduzione della plastica, senza cedere alle pressioni delle lobby.
L’ingerenza delle lobby ai vertici mondiali
L’influenza delle lobby nei vertici internazionali non è una novità, ma la situazione che si sta verificando a Busan, durante i negoziati per un Trattato globale sulla plastica, rappresenta un caso particolarmente emblematico. Non è la prima volta che interessi privati interferiscono in discussioni cruciali per il futuro del pianeta: alla Cop16 sulla Biodiversità, ad esempio, erano presenti lobbisti dell’industria della pesca e della caccia, impegnati a difendere i loro interessi.
Anche alla recente Cop29 sul clima, svoltasi a Baku, la situazione è apparsa chiara: ben 1.773 lobbisti legati all’industria del petrolio e del gas hanno presenziato ai negoziati. Paradossalmente, questi incontri avevano come obiettivo principale discutere la riduzione graduale dei combustibili fossili, proprio quegli stessi che i lobbisti rappresentavano.
Ora, il Center for International Environmental Law (Ciel) lancia l’allarme su quanto sta accadendo a Busan. Secondo un’analisi condotta dall’organizzazione, i 220 lobbisti dell’industria della plastica presenti al vertice costituiscono la delegazione più numerosa, superando perfino quella del Paese ospitante, la Corea del Sud, che conta “solo” 140 delegati.
Questo dato evidenzia quanto il peso delle lobby possa essere determinante nei negoziati. Mentre si discute su come limitare la produzione e l’uso di plastica vergine, la massiccia partecipazione di rappresentanti dell’industria suggerisce il tentativo di ostacolare qualsiasi accordo ambizioso. L’obiettivo delle lobby è chiaro: evitare regolamentazioni che possano danneggiare i profitti dell’industria petrolchimica.
Questa situazione solleva interrogativi sulla legittimità e sull’efficacia dei negoziati. Se a guidare le trattative saranno gli interessi privati anziché l’urgenza di affrontare la crisi ambientale, il rischio è che il trattato sulla plastica diventi un compromesso al ribasso, incapace di rispondere alle necessità di riduzione dell’inquinamento globale.
Lobby contro scienziati, la sfida nei negoziati sul Trattato globale sulla plastica
I lobbisti dell’industria della plastica, presenti in massa ai negoziati di Busan, superano di gran lunga delegazioni chiave come quella dei piccoli stati insulari in via di sviluppo del Pacifico (Psid). Questi stati, che contano solo 89 delegati, sono tra i più colpiti dall’inquinamento da plastica, essendo sommersi da rifiuti che invadono coste e oceani. La presenza così preponderante dei rappresentanti industriali sottolinea l’asimmetria di potere: chi contribuisce alla crisi ha voce più forte di chi ne subisce le conseguenze.
Ma i lobbisti non si fermano qui. Superano anche la Coalizione degli scienziati, un gruppo che si batte per un trattato realmente efficace. Gli scienziati sono preoccupati dal fatto che ogni anno vengano prodotte ben 460 milioni di tonnellate di plastica, di cui solo una frazione minima (circa il 10%) viene effettivamente riciclata. La stragrande maggioranza finisce in discariche, inceneritori o, peggio, nell’ambiente, con conseguenze devastanti per ecosistemi e salute umana.
Recentemente, 900 scienziati indipendenti hanno firmato una dichiarazione, rivolta ai negoziatori, per chiedere un’azione urgente e decisa. Sollecitano un Trattato globale sulla plastica che imponga limiti chiari alla produzione, unica via per arginare una crisi ormai fuori controllo. Tuttavia, questa richiesta incontra una resistenza feroce da parte dei rappresentanti industriali e di alcuni Paesi chiave.
Le industrie petrolchimiche e i loro sostenitori, tra cui Arabia Saudita, Russia, Iran e Cina, si oppongono fermamente a qualsiasi restrizione sulla produzione di plastica. Questi attori spingono invece per concentrarsi esclusivamente sul miglioramento della gestione dei rifiuti, un approccio che fino ad oggi ha mostrato evidenti fallimenti. Il sistema globale di riciclo non è mai stato in grado di tenere il passo con la crescita esponenziale della produzione di plastica, trasformando questa proposta in una semplice giustificazione per continuare a produrre più plastica senza affrontare il problema alla radice.
Dubbi sull’accordo per un Trattato Globale sulla Plastica
Permangono forti dubbi sulla possibilità di raggiungere un accordo giuridicamente vincolante per la riduzione della plastica entro la fine della settimana. Secondo Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, gli Stati membri devono concentrare gli sforzi su un trattato che metta al centro la salvaguardia dell’ambiente e delle future generazioni, anziché i profitti di pochi amministratori delegati. “Serve un accordo ambizioso e legalmente vincolante”, afferma Ungherese, “che riduca la produzione di plastica e ponga fine all’uso di materiali monouso”.
Tuttavia, la strada verso un accordo concreto appare complessa. Senza una pressione costante da parte della società civile, l’influenza esercitata dai lobbisti dell’industria della plastica rischia di vanificare gli sforzi. Scienziati e associazioni come il Plastic Health Council mettono in guardia: ignorare l’impatto devastante che la plastica ha non solo sugli ecosistemi, ma anche sulla salute umana, sarebbe una scelta irresponsabile e “delirante”.
La posta in gioco non è mai stata così alta. Come detto da più parti, o si intraprende un percorso deciso verso la riduzione della plastica, o si continuerà a subire le conseguenze di un sistema produttivo che privilegia i profitti immediati a scapito del benessere globale.