È una scena frequente nelle separazioni: un partner che svuota il conto in comune alla fine del rapporto, magari di nascosto. Una manovra lecita? O un vero e proprio abuso? Anche se formalmente ogni cointestatario può operare sul conto, ciò non significa che possa trattenere somme superiori alla propria quota. Le conseguenze non sono solo civili: in alcuni casi, chi preleva oltre il dovuto può rispondere anche penalmente.
Vediamo nel dettaglio come stanno le cose.
Indice
Conto cointestato e prelievi senza consenso: il tuo ex poteva farlo?
“Nel caso di conto corrente cointestato a firme disgiunte, ciascun cointestatario ha la facoltà di operare sul conto in piena autonomia, senza necessità del consenso dell’altro.”
In altre parole, ogni intestatario può prelevare, bonificare, emettere assegni, nei limiti delle somme disponibili. Tale disponibilità giuridica non si traduce nella titolarità effettiva delle somme. Dunque, vige una presunzione di comunione, salvo prova contraria.
L’art. 1298, co. 2, c.c., stabilisce che:
“In assenza di diversa pattuizione, si presume che le quote dei partecipanti a un rapporto siano uguali.”
In situazioni di crisi di coppia, è frequente che uno dei due faccia un prelievo strategico, magari pochi giorni prima della separazione. Anche se formalmente legittimo, quel prelievo potrebbe essere impugnato, se eccede la quota idealmente spettante o se viola il vincolo di comunione.
Ad esempio, se entrambi i partner hanno versato sul conto cointestato durante la convivenza, ciascuno è ritenuto titolare del 50% del saldo, a meno che uno dei due non dimostri che il denaro proveniva esclusivamente dal proprio patrimonio o da redditi personali.
Il prelievo da un conto condiviso è un illecito civile?
Come detto, ogni cointestatario ha diritto solo alla propria quota, salva diversa pattuizione. Tuttavia, il diritto alla propria quota non comporta il diritto ad agire in danno dell’altro. Se il prelievo eccede la parte spettante a chi lo compie e si traduce in un danno per l’altro intestatario, si può configurare una responsabilità da fatto illecito (art. 2043 c.c.).
“L’ ex partner che ha sottratto indebitamente più di quanto gli spettava, senza alcuna giustificazione e in danno dell’altro, può essere chiamato a risarcire il danno patrimoniale.”
In questo caso, l’azione civile sarà fondata proprio sull’ingiusto danno arrecato da un comportamento privo di causa giustificatrice, con richiesta di restituzione delle somme o risarcimento equivalente.
Tuttavia, la Cassazione ha sottolineato che:
“Se i prelievi da un conto cointestato sono effettuati per soddisfare esigenze familiari, non sorge obbligo di restituzione, anche se effettuati da un solo cointestatario, salvo prova contraria sulla titolarità esclusiva delle somme.” (Cass. civ. ord. n. 28772/2013)
Tale orientamento rafforza la necessità di distinguere i prelievi legati a spese comuni da quelli compiuti con intento lesivo nei confronti dell’altro intestatario.
Quali azioni legali puoi avviare per riprendere i soldi tolti dal tuo ex?
In tali casi, una delle azioni più frequenti è la ripetizione dell’indebito (art. 2033 c.c.). Tale istituto consente di chiedere la restituzione di quanto è stato ricevuto o trattenuto senza giusta causa. In alternativa, o in aggiunta, si può richiedere la divisione delle somme presenti (o già prelevate) sul conto comune, applicando per analogia l’art. 1111 c.c., che disciplina la divisione dei beni in comunione. Questa strada è particolarmente utile quando è difficile ricostruire chi ha versato cosa, ma si può comunque accedere a una soluzione equitativa basata sulla presunzione di comunione. In sede di divisione, il giudice può attribuire le quote in modo proporzionale, ordinare conguagli e, se necessario, disporre una CTU contabile per fare chiarezza.
Se dal comportamento dell’ex derivano perdite economiche dimostrabili – ad esempio l’impossibilità di pagare spese essenziali perché il conto è stato svuotato – è possibile agire anche per risarcimento del danno patrimoniale (art. 2043 c.c.). In questo caso, la richiesta non è solo restitutoria ma compensativa, e può includere anche danni ulteriori, come interessi, costi bancari, o pregiudizi indiretti.
Il prelievo unilaterale è un reato?
In alcuni casi, il prelievo di denaro da un conto cointestato da parte dell’ex partner non si limita a essere una questione civilistica, ma può configurare un vero e proprio reato – quello di appropriazione indebita (art. 646 c.p.):
“Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o di altra cosa mobile altrui, di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a euro 1.032”
La Cassazione ha precisato che l’appropriazione indebita è configurabile solo quando il soggetto abbia consapevolmente agito per sottrarre la quota dell’altro, in modo illecito. Un semplice prelievo in buona fede, anche se contestabile in sede civile, non basta a integrare il reato (Cass. pen. sent. n. 23162/2020).
Come dimostrare che tuo ex ha tolto più della sua parte?
Quando si vuole impugnare un prelievo eseguito dall’ex su un conto cointestato, il primo ostacolo è di natura probatoria. Chi intende ottenere la restituzione delle somme deve dimostrare con precisione che il prelievo ha ecceduto la quota spettante al cointestatario.
L’art. 2697 c.c. stabilisce che:
“Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”
Occorre anzitutto ricostruire il flusso delle movimentazioni del conto, attraverso estratti conto bancari completi. Poi bisogna evidenziare, anche tramite documenti esterni (buste paga, bonifici, dichiarazioni fiscali), che le somme versate provenivano in via prevalente o esclusiva dal soggetto che agisce in giudizio.
In seconda battuta, sarà necessario dimostrare che il prelievo ha superato la quota che spettava legittimamente all’ex. Se i versamenti erano diseguali o se ci sono stati accordi verbali, la ricostruzione può richiedere una valutazione tecnica. In questi casi, il giudice può disporre una consulenza contabile per quantificare con esattezza gli importi spettanti a ciascuna parte.
Un rimedio cautelare, qualora si teme che le somme vengano disperse o occultate, è il sequestro conservativo (art. 670 c.p.c.). Misura che può essere chiesta al giudice prima o durante il processo, e consente di “congelare” le somme in contestazione, in attesa della sentenza.
Può influire sulla separazione o sul divorzio che il tuo ex abbia prosciugato il conto?
Sì, il comportamento dell’ex partner che svuota un conto cointestato può avere conseguenze dirette anche in sede di separazione o divorzio, specie se il prelievo è avvenuto in un momento delicato della relazione, come alla vigilia della rottura o durante una crisi coniugale. In questi casi, il comportamento viene valutato non solo dal punto di vista civilistico, ma anche nell’ambito delle relazioni patrimoniali tra coniugi, incidendo sulla regolazione economica che il giudice dovrà stabilire.
La giurisprudenza ha chiarito che, nell’ambito della separazione giudiziale, il giudice ha il potere di considerare i comportamenti di entrambe le parti nella gestione delle risorse comuni. Se uno dei due coniugi ha sottratto fondi in modo illecito o squilibrato, ciò può influire sulla determinazione dell’assegno di mantenimento, sull’assegnazione della casa coniugale e sulla suddivisione dei beni in caso di comunione.
Se i coniugi erano in regime di comunione legale dei beni, la questione è ancora più rilevante. Le somme acquisite durante il matrimonio sono in linea di principio comuni, e quindi un prelievo unilaterale può costituire violazione della comunione. Anche in questo caso, il giudice potrà disporre conguagli o attribuzioni compensative per riequilibrare la situazione.