Taglio del cuneo fiscale 2025, la simulazione delle pensioni

Nel 2025 i nuovi coefficienti di trasformazione riducono le pensioni rispetto al 2024, con perdite significative per chi lascia il lavoro quest’anno

Pubblicato: 31 Gennaio 2025 08:00

Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Con l’arrivo del 2025, il sistema previdenziale italiano introduce un aggiornamento dei coefficienti di trasformazione, il meccanismo che traduce i contributi accumulati in assegni mensili. Una revisione che, pur prevista dalla normativa, ha un impatto diretto sulle tasche dei futuri pensionati.

Nel caso dei nuovi coefficienti di trasformazione introdotti per il 2025, non sono previsti aumenti, ma solo riduzioni rispetto ai calcoli effettuati con i parametri precedenti. Questo avviene perché i coefficienti vengono adeguati all’aumento dell’aspettativa di vita, il che richiede una distribuzione più diluita del montante contributivo accumulato.

Di fatto, chi va in pensione nel 2025 percepirà un assegno più basso rispetto a chi si è ritirato nel 2024, anche a parità di contributi versati. Ma vediamo nel dettaglio.

Pensioni, come funzionano i nuovi coefficienti di trasformazione

I coefficienti di trasformazione vengono aggiornati ogni due anni per tenere conto delle variazioni nell’aspettativa di vita. Dal 1° gennaio 2025, il nuovo parametro per chi va in pensione a 67 anni sarà del 5,608%, in calo rispetto al 5,723% applicato fino alla fine del 2024.
Se detta così sembra una differenza da poco, il suo impatto è tutt’altro che trascurabile: su un montante contributivo medio, la variazione comporta una riduzione dell’assegno mensile che si riflette in migliaia di euro di perdita complessiva lungo tutta la durata della pensione.

Quanto costa ritirarsi nel 2025

Le simulazioni raccontano una storia chiara: un lavoratore con un reddito annuo lordo di 30.000 euro vedrà l’assegno mensile scendere da 1.250 euro nel 2024 a 1.225 euro nel 2025. Secondo la Cgil, questo si traduce in una perdita di 25 euro al mese su un assegno di 1.250 euro, per un totale annuo di oltre 326 euro lordi. Su un’intera pensione, si stima una perdita complessiva di oltre 5.000 euro.

Per chi ritarda il ritiro oltre i 67 anni, il colpo diventa ancora più evidente. Un lavoratore che lascia il lavoro a 70 anni riceverà un assegno mensile di circa 1.367 euro nel 2025, contro i 1.397 euro di chi si è ritirato nel 2024. Anche in questo caso, la riduzione di 30 euro al mese pesa, portando a quasi 400 euro annui di differenza.

Per capire l’impatto concreto dei nuovi coefficienti di trasformazione, ecco il prospetto basato su redditi medi:

I conti (non sempre) tornano: il peso delle nuove regole

La revisione periodica dei coefficienti, pur giustificata dall’allungamento della vita media, evidenzia una contraddizione di fondo: chi lavora più a lungo per accumulare contributi rischia comunque di vedersi penalizzato nel calcolo finale. I pensionati del 2025 devono fare i conti con una minore disponibilità economica, mentre il potere d’acquisto continua a essere messo sotto pressione.

Il 2025 si apre così con un paradosso: mentre il recupero dell’inflazione porta piccoli benefici, la revisione dei coefficienti penalizza chi accede ora alla pensione. Per molti lavoratori, queste dinamiche richiederanno una pianificazione ancora più attenta, tra strategie per limitare le perdite e l’eventuale ricorso a forme di previdenza complementare per proteggere il futuro economico.

Cosa cambia per chi anticipa o ritarda l’uscita

La scelta di anticipare o posticipare il pensionamento può fare una grande differenza. Uscire a 60 anni con un coefficiente del 4,536 comporta un assegno sensibilmente più basso rispetto a chi esce a 67 anni o oltre. Al contrario, attendere i 71 anni permette di beneficiare del valore massimo di 6,510, rendendo l’attesa economicamente vantaggiosa, sebbene non sempre praticabile.

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