Il quantitative easing è uno strumento di politica economica che periodicamente torna ad animare il dibattito pubblico.
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Quantitative easing: significato
La traduzione di quantitative easing è “alleggerimento quantitativo” o anche “allentamento quantitativo“. Parte degli economisti e della pubblicistica di settore si riferiscono alla misura definendola anche “facilitazione quantitativa” o semplicemente “QE“. In Italia i titolisti più spregiudicati talvolta si riferiscono al quantitative easing definendolo “il bazooka della BCE”.
Cos’è il quantitative easing
Si tratta, in breve, di una misura non convenzionale di politica monetaria espansiva il cui scopo ultimo è quello di favorire la ripresa economica immettendo una notevole mole di liquidità in circolazione. Le Banche centrali, in pratica, per invertire fasi economiche depressive, possono scegliere di imprimere un boost all’economia “creando liquidità” tramite l’acquisto di titoli di Stato o altre obbligazioni.
Prima della Banca Centrale Europea il quantitative easing è stato utilizzato, ad esempio, anche dalla Federal Reserve statunitense, dalla Bank of England britannica e dalla Banca Centrale Giapponese.
Come funziona il quantitative easing
In qualità di agenti pubblici che si occupano di gestire le politiche monetarie dei Paesi (o delle unioni sovranazionali come nel caso dell’Unione europea) le banche centrali possono, con le loro decisioni, agire direttamente sul mercato.
Ma, avendo citato l’Europa unita, vediamo cosa implica per la Banca Centrale Europea il quantitative easing. In caso di stagnazione economica la BCE acquista obbligazioni dalle banche. Il prezzo di tali obbligazioni sale e si crea dunque moneta nel sistema bancario.
L’aumento della moneta provoca un calo generalizzato nei tassi di interesse e i prestiti diventano così meno costosi. Cittadini e aziende trovano maggiore facilità nell’accedere ai prestiti e spendono meno per pagare i creditori;
Avendo maggiore accesso al credito, cittadini e aziende aumentano consumi e investimenti. La crescita economica si incrementa e si creano nuovi posti di lavoro. Salgono i prezzi e la BCE consegue un tasso di inflazione del 2% a medio termine. La BCE intanto incassa gli interessi sui titoli acquistati e aumenta dunque anche il suo profitto.
La Banca Centrale Europea versa poi i propri profitti alle banche centrali dei vari Paesi dell’Eurozona e infine le banche centrali, a loro volta, versano i loro profitti ai relativi Stati di appartenenza.
Per attuare questo programma, le banche centrali acquistano grandi quantità di titoli di stato (la BCE è arrivata ad acquistarne 80 miliardi al mese), così da stabilizzarne il valore ed evitare il pericolo di default del bilancio statale. Il QE, ad esempio, ha consentito all’Italia di abbattere lo spread di circa 400 punti base in un periodo di gravissima crisi economica, così da risparmiare diversi miliardi di euro di interessi sul debito.
Inflazione al 2%, perchè?
La soglia del 2% relativa all’inflazione è stata scelta dalle banche centrali come obiettivo ideale. L’inflazione è il valore che indica il potere d’acquisto della moneta. Un’inflazione alta, cioè un eccessivo aumento dei prezzi, deprime i consumi e rallenta l’economia nel suo complesso impoverendo la collettività. Ma anche un’inflazione troppo bassa (la deflazione) ha effetti negativi, perché quando i prezzi iniziano a calare famiglie e aziende rimandano al futuro le loro spese e i loro investimenti, nella speranza di spendere ancora meno. In economia un’inflazione fissa al 2% rappresenta il punto di equilibrio desiderabile.
Il “Whatever it takes” di Mario Draghi
C’è una frase che è entrata nella storia dell’Italia e dell’Europa unita: “Whatever it takes”, a qualunque costo. Con queste tre semplici parole, pronunciate il 27 luglio 2012, Mario Draghi annunciava che la Banca Centrare Europea sarebbe stata pronta a fare qualsiasi cosa per salvare l’Euro e, di conseguenza, l’Unione europea. Con questa frase, il Presidente della BCE dava il via a una politica economica espansiva che avrebbe trovato nel quantitative easing il suo strumento principe. E a distanza di alcuni anni dall’inizio di quella fase, nel giugno del 2019, Mario Draghi annunciò la seconda fase di quella politica economica, suscitando l’irritazione del presidente americano Donald Trump che parlò di concorrenza sleale da parte dell’Europa.
Conseguenze e rischi del quantitative easing
Il Quantitative easing può essere un’arma a doppio taglio. La prima esternalità negativa del QE è legata al cosiddetto “azzardo morale”: perché i Paesi meno bravi a far quadrare i loro bilanci dovrebbero distrarre risorse per aggiustare i conti pubblici quando una banca centrale può intervenire innescando il QE e salvando la situazione? Per i critici l’alleggerimento quantitativo è una sorta di premio che le banche centrali offrono ai peggiori della classe. In realtà si tratta di una boccata d’ossigeno che gli Stati sono chiamati a utilizzare per prendere tempo in vista di mettere in atto riforme strutturali.
In passato non sono mancati contrasti fra BCE e alte corti nazionali sul tema del Quantitative easing.
Come detto il QE è poi un vantaggio per i debitori, ma al contempo danneggia i creditori in quanto guadagnano meno soldi da tassi di interesse più bassi. La svalutazione di una valuta danneggia poi anche gli importatori, poiché il costo delle merci importate viene gonfiato. Un’immissione eccessiva di moneta può anche causare un’inflazione più elevata di quanto desiderato se l’importo dell’allentamento richiesto è sopravvalutato e viene creato troppo denaro.
Chiuso l’ombrello del Quantitative easing è poi inevitabile che le economie nazionali accusino dei contraccolpi.