Con la stretta della BCE sui tassi, le conseguenze per le famiglie e le imprese italiane rischiano di essere drammatiche. A lanciare l’allarme non sono solo associazioni dei consumatori e i sindacati, ma la stessa FABI, la Federazione Autonoma Bancari Italiani. Negli ultimi mesi, il costo dei mutui è più che quadruplicato, e questo, unito alla sempre minor possibilità di spesa da parte di cittadini e PMI per via di inflazione fuori controllo e bassa crescita, non può che portare a ricadute gravissime sull’intero sistema Paese.
A ottobre i tassi medi si sono attestati attorno al 3,2%, quando il costo del denaro era al 2%. Oggi, sul mercato, alcuni intermediari propongono già mutui con interessi superiori al 5%. Con il costo del denaro aumentato dalla Banca centrale europea di mezzo punto percentuale al 2,5% – notizia non certo inattesa – si rischia realisticamente di arrivare a mutui al 6%, evidenzia FABI.
Cosa succederà, dunque? Che i tassi sui mutui alle famiglie e alle imprese, anche quelli già contratti con le banche, aumenteranno. L’unica eccezione riguarda quelli a tasso fisso, che non subiranno variazioni. Ma vediamo nel dettaglio cos’è accaduto, e cosa attenderci per i prossimi mesi.
L’andamento di mutui e prestiti negli ultimi 5 anni
Negli ultimi 5 anni, i mutui sono saliti del 12,2%, il credito al consumo dell’11,7%, mentre gli altri finanziamenti sono calati del 2,9%.
Scendendo ancor più nel dettaglio, dal 2018 a ottobre 2022, il credito alle famiglie è aumentato dell’8,6%. Questo aumento è stato dettato in particolare da una maggiore richiesta di mutui prima casa e prestiti al consumo.
Per quanto riguarda le imprese, si è registrata una riduzione dei finanziamenti a due cifre, pari all’1,7%. Questa contrazione ha riguardato soprattutto i prestiti di breve periodo (-30,3%), riduzione che non ha compensato la crescita registrata invece sui prestiti oltre i 5 anni, aumentati del 19,9%. Osservando i prestiti a medio termine fino a 5 anni, la riduzione è stata più contenuta, ma ha comportato comunque una contrazione di ben il 3%.
L’andamento di mutui e prestiti nel solo 2022
Guardando al 2022, da gennaio a ottobre i finanziamenti delle banche alle famiglie sono cresciuti in media del 2,6%, quelli alle imprese dell’1%.
Per quanto riguarda le famiglie, ad ottobre si è registrato un aumento complessivo dei finanziamenti di appena 900 milioni. Questo aumento è stato dovuto quasi esclusivamente al rialzo dei prestiti per l’acquisto della prima casa (+3,6%), e quasi per nulla all’incremento dei prestiti al consumo.
Per le imprese italiane, il calo dei prestiti nei 10 mesi è evidente in tutte le categorie. Nel solo mese di ottobre è diminuito complessivamente di quasi 10 miliardi. Sempre solo a ottobre, i prestiti a breve scadenza sono diminuiti del 3,5%, mentre i prestiti fino a 5 anni hanno subito una frenata potente, pari all’0,9%. Stesso discorso per i finanziamenti a lungo termine, che sono diminuiti di 2,5 miliardi.
Italia Paese con i tassi più alti di tutta l’area euro
La contrazione dei mutui ipotecari e del credito al consumo alle famiglie degli ultimi mesi rappresenta certamente un’inversione di tendenza, ma cela qualcosa di molto più grave. Come dimostrano chiaramente i dati pubblicati in agosto dalla Bce, l’Italia è il Paese con i tassi di interesse più alti di tutta l’area euro. Questo vale praticamente per tutte le categorie di prestiti: mutui ipotecari, credito al consumo e altri finanziamenti.
Il costo del credito per le famiglie italiane è superiore in media di 18 punti base per un mutuo ipotecario con scadenza compresa tra 1 e 5 anni, e di 32 punti per uno stesso prestito a oltre 10 anni. Per tutte le altre categorie di prestiti la forbice è ben più ampia e il differenziale supera addirittura i 140 punti base.
Come evidenzia ancora FABI, solo i finanziamenti con scadenza inferiore ai 12 mesi hanno, in Italia, un costo simile a quello di altri Paesi e addirittura inferiore alla media europea ma, considerata la durata media dei prestiti con questa finalità, il confronto italiano non regge.
Per le scadenze comprese tra 1 e 5 anni, così come per le durate maggiori, l’offerta del credito destinato all’acquisto di automobili, elettrodomestici, smartphone e viaggi è decisamente meno vantaggioso rispetto alla Francia e Germania, e il differenziale rispetto al dato medio in Europa si muove tra i 138 e i 143 punti base, cioè circa l’1,4% in più.
Per i mutui prima casa, alle famiglie italiane è richiesto un tasso di interesse medio del 2,62% per scadenza fino a 5 anni, contro un livello medio dell’1,58% delle famiglie francesi e del 2,27% per quelle spagnole. Anche per le scadenza superiori a 10 anni, l’Italia è seconda alla sola Germania, che vanta il primato in tutte le fasce temporali, rispettivamente del 2,78% per i prestiti fino a 5 anni, del 2,74% per quelli fino a 10 anni e del 3,04% per quelli con scadenza superiore a 10 anni.
La situazione non migliora se confrontiamo i dati del credito al consumo, dove l’Italia è maglia nera, insieme alla Spagna, per il costo dei prestiti, con un livello minimo di tasso del 4,32% per i finanziamenti ad un anno, fino al 6,81% per un prestito al consumo con scadenza compresa tra 1 e 5 anni.
Per un cittadino italiano che decide di chiedere un finanziamento per l’acquisto di beni diversi dalla casa, il prezzo da pagare per le scadenze superiori è ancora più alto. Rispetto a un tasso del 3,32% richiesto ai cittadini francesi, l’italiano medio paga più del doppio e anche il confronto con Spagna e Germania non mostra affatto condizioni di accesso al credito particolarmente favorevoli. Il livello di tasso più contenuto è quello registrato della Germania, con il 6,88% mentre la Spagna vanta un 7,39%, anch’esso inferiore al 7,67% dell’Italia.
Infine, nel comparto degli altri mutui, il tasso di interesse sui prestiti pagato in Italia per nuove operazioni raggiunge il livello massimo del 3,62% per le scadenza maggiori, contro l’1,79% della Francia e il 3,30% della Germania. La Spagna vince il primato con il 4,69%, mentre i tassi italiani, per tutte le fasce di scadenza, restano sempre superiori alle medie europee.
Rischio credit crunch
Ora, la preoccupazione delle banche è che la mossa della Bce di rialzo dei tassi rappresenti non solo il pretesto per far meno ricorso al credito, ma che porterà a rimborsi sempre più difficili.
“Sebbene l’incremento complessivo sia un segnale di tenuta del sistema dei finanziamenti, l’analisi degli ultimi dati disponibili – sottolinea FABI – mostra segnali di preoccupazione e tensione, per tutte le categorie, ma con particolare riferimento al sistema produttivo del Paese, che è sull’orlo di un nuovo credit crunch (stretta creditizia, ndr) generato dai tassi”.
“Non basterà infatti alle banche avvantaggiarsi del rialzo dei tassi e ampliare l’offerta di prodotti finanziari diversi dai mutui, perché il destino di chi non fa in tempo a siglare una surroga o a rimborsare parzialmente il mutuo già in essere è già segnato, e si andrà a sommare all’ombra che incombe da mesi sui salari reali e sulle rate già in aumento di chi deve ripagare i propri debiti”. Un quadro che preannuncia uno shock in arrivo.
Quando conviene chiudere il mutuo
Ma una buona notizia, in questo scenario preoccupante, c’è. Come spiega bene il segretario generale FABI Lando Maria Sileoni, “le famiglie italiane non devono rinunciare al sogno della vita, l’acquisto della casa, perché quando i tassi d’interesse caleranno e diventeranno più favorevoli, sarà possibile estinguere il vecchio mutuo con uno nuovo più vantaggioso“.
Per i giovani che vogliono acquistare casa, però, conclude Sileoni, è indispensabile che il governo rafforzi economicamente il Fondo statale di garanzia” già esistente.
Intanto, il governo Meloni ha inserito nel maxi-emendamento alla Manovra di bilancio 2023 una vecchia norma del 2012, che permette a chi ha ha sottoscritto un mutuo ipotecario di tornare dal tasso variabile al tasso fisso.