La nuova amministrazione statunitense pare che sia una torta di cui tutti vogliono assicurarsi almeno una fettina. John Elkann e Donald Trump si sono incontrati a Washington, e da quel tavolo sono partite le basi per un rilancio stellare di Stellantis sul mercato americano. Questo passaggio è molto interessante, perché è arrivato solo pochi mesi dopo il licenziamento di più di mille dipendenti dello stabilimento di Toledo, in Ohio.
Il progetto che ha in mente John Elkann è ambizioso, condito da investimenti massicci e da un piano che punta a consolidare marchi iconici come Chrysler, Dodge, Fiat, Jeep e Ram Trucks.
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Il nuovo impegno di Stellantis nell’industria americana
Antonio Filosa, Chief Operating Officer di Stellantis per il Nord America, ha tracciato i contorni di questo incontro. Elkann, faccia a faccia con Trump, ha portato sul piatto l’entusiasmo del gruppo verso l’industria automobilistica a stelle e strisce, considerata un pilastro per l’occupazione e l’economia. Filosa, in una lettera ai dipendenti, ha descritto un dialogo che punta dritto a temi caldi come innovazione e crescita del settore.
Dal colloquio emergono promesse concrete. Elkann ha ribadito l’intenzione di Stellantis di lasciare un’impronta più marcata negli Stati Uniti, con investimenti che strizzano l’occhio a una produzione sempre più radicata e a tecnologie all’avanguardia. L’obiettivo è chiaro: vendite in crescita, stabilimenti più competitivi, e una forza lavoro protagonista.
Ma come mai John Elkann ha avuto così tanta fretta di precipitarsi negli Usa per investire? Beh, la risposta sta tutta nella nuova politica fiscale promessa da Trump già in campagna elettorale, che ha fatto drizzare ben più di un orecchio.
Donald Trump ha promesso di ridurre le tasse per le aziende che producono negli Stati Uniti, indipendentemente dalla loro origine. Durante la sua campagna elettorale del 2024, ha proposto di abbassare l’aliquota fiscale sulle società dal 21% al 15% per le imprese che producono sul suolo americano. Questa misura mira a incentivare sia le aziende nazionali che quelle straniere a stabilire o riportare la produzione negli Stati Uniti, promuovendo un “rinascimento manifatturiero” nel Paese.
Ma non finisce qua la politica aggressiva di Trump. In questi giorni ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo fiscale globale dell’Ocse, che mirava a stabilire un’aliquota minima del 15% per le multinazionali. Di conseguenza, John Elkann ha visto questa come un’opportunità per fatturare ancora di più.
Progetti industriali e posti di lavoro
Belvidere si prepara a tornare in pista con i pickup di medie dimensioni, riportando al lavoro circa 1.500 dipendenti. A Detroit, la scena è tutta per la prossima generazione di Dodge Durango, mentre Toledo (dove a novembre sono stati licenziati circa mille e cento dipendenti) accoglie sviluppi per i modelli Jeep Wrangler e Gladiator, senza dimenticare i componenti chiave del Toledo Machining Plant.
E poi c’è Kokomo, dove il motore Hurricane 4 prenderà forma. Questo propulsore è un tassello cruciale per la strategia del gruppo e per il futuro della manifattura americana. Insomma, una cascata di investimenti che non si ferma, proiettando Stellantis verso un ruolo sempre più forte nel panorama industriale degli Stati Uniti.
Collaborazione con i lavoratori statunitensi
La sintonia con il sindacato United Auto Workers (UAW) è stata una chiave di volta. Filosa ha sottolineato che le proposte sono state messe nero su bianco insieme all’UAW, per costruire una visione condivisa. Shawn Fain, presidente del sindacato, ha parlato di una vittoria per i lavoratori americani. La riapertura di Belvidere diventa così un simbolo di lotta e rilancio.
Impulso economico dalla politica
Dalla Casa Bianca, manco a dirlo, la reazione è stata immediata. Un commento pubblicato sulla piattaforma X ha messo in evidenza il legame tra le scelte di Stellantis e le politiche di Trump: “Sotto la guida del presidente Trump, Stellantis sta riportando 1.500 posti di lavoro in Illinois e investendo a Detroit, Ohio e Indiana. La rinascita manifatturiera americana è arrivata”. Già, peccato che non sia lo stesso per gli stabilimenti italiani.
Lavoratori italiani in sordina: promesse disattese e cassa integrazione
Mentre negli Stati Uniti si brinda ai nuovi investimenti, l’Italia resta sullo sfondo con una nota dolente. Samuele Lodi, segretario nazionale della Fiom Cgil con delega all’automotive, ha puntato il dito contro la lentezza del governo e le promesse non mantenute. Secondo Lodi, gli stabilimenti italiani vivono ancora la piaga della cassa integrazione, mentre i tanto attesi investimenti tardano ad arrivare.
Secondo i dati della Fiom-Cgil, a dicembre 2024, circa 18.373 dipendenti di Stellantis in Italia sono coinvolti in contratti di solidarietà, rappresentando il 53,31% dei 33.217 addetti del gruppo nel Paese.
Lodi ha definito inaccettabile il divario tra gli investimenti annunciati negli Stati Uniti e la realtà italiana, dove migliaia di lavoratori affrontano giornate di cassa integrazione e incertezza sul futuro. Ha anche ricordato come il governo italiano non abbia ancora convocato le parti a Palazzo Chigi, un immobilismo che amplifica le difficoltà del settore e lascia un senso di abbandono tra i lavoratori.
C’è poco da commentare. Gli Stati Uniti incassano miliardi in investimenti e migliaia di posti di lavoro. L’Italia, invece, resta a guardare, tra cassa integrazione e promesse vuote. I numeri parlano da soli e raccontano una storia amara: chi può, va dove ci sono incentivi, chi resta, arranca. E intanto, il silenzio delle istituzioni pesa come un macigno.