Spread Btp-Bund a 70 punti, ma non c’è crescita: gli stipendi rimangono bassi

Lo spread Btp-Bund risale ma resta vicino ai minimi storici. Le ricadute su crescita, lavoro e investimenti restano un nodo critico per l’Italia

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Siamo nuovamente tutti con il fiato sospeso sul valore dello spread tra Btp e Bund. L’ultima volta che è accaduto era il 2011, quando Silvio Berlusconi dichiarava che non c’erano problemi in vista e i ristoranti erano pieni. Ma eravamo già in crisi e infine lo spread superò i 570 punti base. Eppure proprio Giorgia Meloni, quando era all’opposizione, criticava questo sguardo sullo spread, come se fosse un’entità capace di decretare il benessere di un Paese.

Perché se è vero che agli occhi degli investitori ora siamo più affidabili, è vero anche che la prudenza eccessiva rischia di avere ricadute negative sulla crescita e l’occupazione.

Spread in aumento: avvio a 69,6 punti

Dopo la giornata del 9 dicembre, nella quale lo spread tra Btp e Bund ha dato il primo segno di una risalita, con ancora l’entusiasmo di tutti come sottofondo, anche l’apertura del 10 dicembre resta stabile, ma in rialzo.

Martedì 9 dicembre il differenziale tra i due titoli di Stato è rimasto invariato a 70 punti, con un rendimento del decennale italiano al 3,56% e quello tedesco al 2,86%.

L’apertura di mercoledì 10 dicembre è in leggero aumento, con il differenziale di rendimento tra i due decennali a 69,6 punti base, dai 69,5 della chiusura precedente. Il rendimento del titolo di Stato italiano è quindi al 3,55% dal 3,54% precedente.

Quali sono le conseguenze?

Lo spread sembra un dato astratto, ma allo stesso tempo molto concreto, come un’entità che dall’alto giudica se siamo a un passo dal fallimento, dalla stagnazione o se viaggiamo sulla corsia più veloce. Quello che fa lo spread è dire quanto è rischioso il nostro debito rispetto all’affidabilità dei tedeschi di ripagare i loro debiti.

Che suona ancora molto astratto, ma si può tradurre in maniera più semplice:

misura il rendimento dei Btp (titoli di Stato italiani) e quello dei Bund tedeschi.

Circa 70 punti base significa quindi che siamo più affidabili, anche se ancora meno dei tedeschi, agli occhi dei mercati. Lo spread però non misura la crescita, il benessere o la capacità del Paese di creare lavoro. Lo ricorda Marco Maisano in una puntata giornaliera di OnePodcast, nella quale parla con un ospite proprio del perché l’economia continua ad arrancare.

Michele Boldrin spiega che è in parte merito del governo Meloni, che “ha ascoltato e ha evitato di lanciarsi in ulteriori spese”. Alla fine però a chi presta e ai partner esterni non importa la spesa, ma la capacità di pagare i debiti, gli interessi e di restituire il capitale. “Se non c’è crescita, se gli stipendi non si alzano, se l’occupazione è sostenuta solo dal Pnrr è solo un problema degli italiani”, dice. E non bisognerebbe confondere l’andamento dello spread con un “tutto va bene”.

Lavorare sulla crescita

Bisogna stare attenti a festeggiare lo spread come un risultato, perché al massimo dovrebbe essere un segnale positivo e bisognerebbe quindi iniziare a puntare su altro, come per esempio sulla crescita. Lo diceva proprio Giorgia Meloni, quando dall’opposizione criticava chi guardava al dato dello spread o alla valutazione del rating, oggi dati che invece il governo Meloni vuole rivendicare con orgoglio.

Intanto c’è il problema del Pil italiano. Da una parte l’Istat stima una crescita dello 0,5% nel 2025 e dello 0,8% nel 2026, sostenuta dalla domanda interna (+1,1 punti percentuali), ma con un rapporto negativo sulla domanda esterna netta (-0,6%).

Si torna infatti a parlare di crescita dei consumi, ma con ritmi se non del tutto fermi, almeno prudenti e moderati. Sono percentuali sullo zero virgola, di guinzaglio proprio dai salari reali che risultano inferiori (dati di settembre) di 8,8 punti rispetto a gennaio 2021.

Invece per l’occupazione c’è un incremento del +1,3% nel 2025 e in prospettiva dello 0,9% per il 2026, un dato accompagnato dal calo del tasso di disoccupazione dello 0,2% del 2025 a una prospettiva dello 0,1% nel 2026. Ma c’è un problema: sono migliaia i lavoratori che rischiano di perdere il lavoro. I dati sono trainati dai piani di assunzione del Pnrr, alcuni di questi sono determinati, mentre altri non sono ancora partiti per via di ritardi burocratici.

La legge di Bilancio prudente ripaga nell’immediato, ma non sarà certo lo spread a 70 punti a destinare risorse alla ricerca, evitando il rischio di licenziamento per oltre 4000 professionisti altamente qualificati come ricercatori, tecnici, amministrativi di progetti strategici, brevetti industriali, collaborazioni con imprese che generano in generale innovazione e sviluppo economico. Non ci sono risposte neanche per stabilizzare i 9 mila precari del Pnrr della Giustizia.

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