Previdenza integrativa non decolla: investe solo 1 italiano su 4

L'allarme di Moneyfarm: il sistema previdenziale è al collasso, più neo-pensionati che neonati

Pubblicato: 5 Novembre 2024 06:30

QuiFinanza

Redazione

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La tenuta dei conti previdenziali italiani è a rischio e la previdenza integrativa è ancora troppo poco diffusa: a rinnovare l’allarme è Moneyfarm che, alla vigilia del mese dell’educazione finanziaria, fa il punto sullo stato dell’arte del sistema pensionistico in Italia, nei giorni in cui si sta delineando il testo della Legge di Bilancio. 

Previdenza integrativa non decolla

Ad oggi il rapporto tra spesa pensionistica e PIL – uno degli indici con cui si misura la sostenibilità del welfare pubblico – è pari al 15,6%, percentuale che si stima salirà al 17% nell’arco di soli 15 anni. Colpa della crisi demografica, con il numero di nuove pensioni liquidate nel corso del 2023 che supera di gran lunga quello delle nuove nascite, arrivate a segnare un altro record negativo (379.339 neonati vs 519.879 neopensionati). In Italia, dunque, si fanno meno figli, si inizia a lavorare più tardi in un mondo del lavoro più precario e si vive sempre più a lungo: una combinazione di fattori che minaccia il patto intergenerazionale su cui si fonda l’intero sistema previdenziale pubblico. Mai come in questo momento si dovrebbe far strada tra i lavoratori la consapevolezza dell’importanza di aderire ad una qualche forma di previdenza complementare ma, secondo le stime di Moneyfarm, ad oggi solo un cittadino su quattro di età compresa tra i 30 e i 59 anni sta investendo in previdenza integrativa.

Degli oltre 24,2 milioni di cittadini nati tra il 1965 e il 1994, pari al 41% della popolazione italiana, quelli che hanno un fondo pensione sono solamente il 26%, mentre il restante 74% è occupato senza un fondo pensione oppure inoccupato. Di questo 26%, una parte potrebbe peraltro essere contribuente “silente”, cioè che non effettua versamenti (quasi il 28% degli iscritti, secondo la relazione annuale COVIP per il 2023). Anche l’uso del TFR per alimentare la previdenza integrativa è limitato: dal 2007 al 2023, solamente il 22% di tutto il TFR maturato è stato destinato ai fondi pensione. ll resto è rimasto nelle aziende o nel Fondo di Tesoreria dell’INPS, che raccoglie il TFR delle aziende con più di 50 dipendenti.

Investe solo 1 italiano su 4

Il tasso più elevato di adesione alla previdenza integrativa si riscontra tra gli uomini di età compresa tra i 40 e i 59 anni, circa un terzo dei quali ha sottoscritto un fondo pensione (33,5% vs 21% delle coetanee donne). All’opposto, la situazione più critica è quella delle giovani donne tra i 30 e i 39 anni: qui il tasso di adesione alla previdenza integrativa crolla al 17%, contro il 27% dei coetanei uomini. Il motivo è da ricondurre non soltanto al fatto che le giovani lavoratrici aderiscano meno degli uomini ai fondi pensione (27% vs 33%), ma soprattutto al fatto che vi siano ben 17 punti di tasso di occupazione a separarle dai loro coetanei uomini. Nel complesso, infatti, le donne tra i 30 e i 59 anni hanno un tasso di occupazione medio del 63% circa, contro l’83% degli uomini, un divario che non può non riflettersi anche sulla pensione integrativa.

Previdenza al femminile: un quadro non proprio roseo

A tinte tutt’altro che “rosa” il quadro della previdenza al femminile, soprattutto se si considera che, a partire dai 50 anni, il tasso di occupazione continua a calare al crescere dell’età, arrivando a sfiorare il 48% per le donne tra i 55 e i 64 anni (contro il 69% dei loro coetanei uomini).

“Quando si parla di pensione si stanno pianificando oltre vent’anni della propria vita, un periodo non certo trascurabile in cui tre lavoratori su quattro dovranno basare il proprio benessere prevalentemente sulla previdenza di base, che rischia di non essere sufficiente. Ad oggi investire in previdenza integrativa non è ancora diventata una consuetudine per i lavoratori italiani, per questo l’industria del risparmio è chiamata a svolgere un ruolo attivo di informazione e consulenza, sottolineando l’importanza di agire subito sfruttando il fattore tempo, vantaggi come la deducibilità fiscale dei versamenti e anche l’opportunità di conferire il TFR in un fondo pensione. Cominciare da subito a investire in una qualche forma di previdenza complementare consente di affrontare più serenamente il proprio futuro, senza essere costretti a modificare il proprio tenore di vita una volta usciti dal mondo del lavoro”, ha commentato Andrea Rocchetti, Global Head of Investment Advisory di Moneyfarm.

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