C’è una possibilità, seppur minima, che l’oro raggiunga un valore di 3.00 dollari l’oncia e che il petrolio si porti a 100 dollari l’oncia, a causa di una ser8ie di fattori economici e geopolitici. Lo rivela un report di Citigroup, che analizza alcuni possibili scenari che potrebbero far volare il prezzo delle commodities.
L’oro spinto da banche centrali ed economia
Attualmente l’oro scambia poco sopra i 2mila dollari, a 2.034 dollari l’oncia (qui la quotazione in tempo reale), ed è reduce già da un importante rally avviato a fine 2022. A parte fattori straordinari, Citigroup sostiene che l’oro dovrebbe mantenersi poco sopra i 2mila dollari per tutto il primo semestre 2024, per spingersi a 2.150 dollari nel secondo semestre e toccare un nuovo record entro fine anno.
Ma vi sono dei fattori che potrebbero portare le quotazioni del metallo prezioso fino a 3.000 dollari, con un incremento de 50% rispetto ai prezzi attuali. Gli analisti della banca d’affari statunitense individuano in particolare tre fattori:
- Un aumento degli acquisti delle banche centrali: un primo fattore rialzista per l’oro sarebbe la tendenza alla de-dollarizzazione delle riserve delle banche centrali, attuata da alcuni Paesi emergenti, in primis la Cina e la Russia, ma anche India, Turchia e Brasile. Una tendenza che ha portato gli acquisti su un record di circa 1.000 tonnellate, che potrebbero anche raddoppiare, a 2.000 tonnellate soppiantando la domanda di oro per il settore della gioielleria.
- Una recessione globale: l’altro fattore in grado di far volari il prezzo dell’oro sarebbe una recessione globale, quindi una scenario hard landing, che convincerebbe le banche centrali a tagliare i tassi di interesse ad un ritmo sostenuto, portandoli si minimi dell’1%, non del 3% come attualmente previsto. Il tasso di interesse di riferimento della Fed attualmente è compreso tra il 5,25% e il 5,5%, il più alto da gennaio 2001, , e ci si attende che la Fed inizi a tagliare i tassi a maggio o giugno.
- Una stagflazione: l’ultimo scenario ed il più remoto riguarda la possibilità di una stagflazione, cioè di una fase dell’economia in cui persistono alta inflazione, bassa crescita e disoccupazione. Uno scenario che lega le mani alle banche centrali e provoca incertezza, facendo lievitare il prezzo dell’oro, bene rifugio per eccellenza.
Petrolio a 100 dollari con tensioni Medioriente
Sebbene il prezzo del petrolio continui ad oscillare fra i 70 e gli 80 dollari al barile (qui la quotazione in tempo reale), Citigoup non esclude la possibilità di una impennata delle quotazioni, che porterebbe il suo valore a 100 dollari al barile. La probabilità – sottolinea la banca d’affari – ha a che fare con le tensioni geopolitiche in Medioriente ed altrove e con le conseguenti politiche dell’Opec+, la formazione allargata del cartello OPEC.
Attualmente la quotazione del petrolio si aggira attorno agli 80 dollari, prezzo ritenuto di equilibrio dal cartello dei produttori: il WTI americano scambia ai 76 dollari al barile ed il Brent del Mare del Nord a 81 dollari, che implicherebbe un rialzo del 25-30% se le quotazioni arrivassero a quota 100 USD.
I catalizzatori che porteranno le quotazioni del greggio a 100 dollari includono rischi geopolitici più elevati, tagli più profondi dell’OPEC+ e interruzioni dell’offerta dalle principali regioni produttrici di petrolio.
Il rischio principale riguarda la possibilità che la guerra in Medioriente si allarghi a macchia d’olio e possa danneggiare le infrastrutture petrolifere dell’Opec. Attualmente c’è stato u impatto minimo e gli unici accadimenti che hanno impattato il greggio sono gli attacchi Houthi alle petroliere in transito nel Mar Rosso, ma la situazione potrebbe ancora peggiorare e condizionare le forniture di Iraq, Iran, Libia, Nigeria e Venezuela. E poi c’è la “questione russa” e la possibilità si un attacco dell’Ucraina con droni alle infrastrutture petrolifere russe.