I dazi di Trump potrebbero costare all’Italia 7 miliardi l’anno, moda e meccanica a rischio

Da un valore di dazi fronteggiati di quasi 2 miliardi di dollari nel 2023, per l’Italia il costo aggiuntivo dopo le elezioni potrebbe raddoppiare

Pubblicato: 8 Novembre 2024 10:52

Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Il nuovo protezionismo di Donald Trump potrebbe gravare sull’Italia con un costo aggiuntivo annuo compreso tra 4 e 7 miliardi di dollari. A stimare questa cifra, che rappresenta almeno il doppio rispetto ai 2 miliardi di dazi sostenuti nel 2023, è un’analisi di Prometeia intitolata “L’impatto sull’Italia della proposta di Trump sui dazi Usa”.

La proposta di Trump

Durante i comizi elettorali, Donald Trump ha promesso l’introduzione di un dazio del 10% su tutte le importazioni negli Stati Uniti e del 60% sulle merci provenienti dalla Cina, con l’obiettivo di proteggere le industrie locali e ridurre le imposte sul reddito, compensando la perdita di entrate fiscali con quelle generate dai dazi. Tuttavia, secondo Prometeia, questa strategia appare “difficile, controproducente, anomala e discutibile“.

“Difficile, per esempio, che gli oltre 2 mila miliardi di dollari esportati dagli Stati Uniti (e quindi produzione made in Usa) non subirebbero ritorsioni dai partner esteri vessati dall’aumento al 10% di dazi che oggi pesano appena l’1.5% dell’import nel mercato”, afferma il report; inoltre, la competitività delle aziende americane potrebbe risultare gravemente compromessa: queste ultime, infatti, importano beni di investimento e intermedi per un valore di circa 1,5 mila miliardi di dollari, necessari alla produzione. Imporre tariffe uniformi su tutte le categorie di beni contraddirebbe poi l’idea di una politica commerciale flessibile e adattata agli interessi specifici dei vari settori economici.

Attualmente, quasi 500 prodotti (come yogurt, cristalleria, abbigliamento e veicoli per il trasporto merci) su circa 5.600 classificati nel Sistema Armonizzato già affrontano dazi superiori al 10%. Paradossalmente, una politica protezionistica di questo tipo finirebbe per ridurre i dazi su oltre 160 miliardi di importazioni, anziché aumentarli.

Quanto costerà all’Italia

Ma se davvero andasse in porto, quali sarebbero i possibili scenari? Gli Stati Uniti, da anni, rappresentano stabilmente il secondo mercato di esportazione per l’Italia, subito dopo la Germania. Per stimare l’impatto delle nuove politiche tariffarie, Prometeia ha elaborato due scenari. Nel primo, è stato ipotizzato un incremento di 10 punti percentuali sui dazi attualmente applicati a circa 3mila codici prodotto; nel secondo, invece, è stato considerato un aumento generalizzato su tutte le merci importate dagli Stati Uniti.

Secondo le stime, nel primo scenario le tariffe complessive che l’Italia dovrebbe affrontare potrebbero salire da 2 a 6 miliardi di dollari l’anno, un aumento quindi di 4 miliardi, mentre nel secondo scenario il costo potrebbe lievitare fino a 9 miliardi, pari a una lievitazione di 7 miliardi. La Germania risulterebbe ancora più colpita, con un incremento dei dazi da 2,4 a 10 miliardi nel primo scenario e quasi 18 nel secondo. Francia e Spagna, che esportano di meno verso gli Usa, vedrebbero crescere i costi a 3-6 miliardi e 1,8-2,9 rispettivamente.

Dazi fronteggiati sul mercato USA dai principali paesi europei (valori in milioni di dollari) – Fonte: Prometeia

I settori più a rischio

Dal punto di vista settoriale, l’impatto del nuovo protezionismo americano sul made in Italy sarebbe significativo, seppur con intensità diverse a seconda dello scenario considerato. Se l’aumento dei dazi fosse limitato ai prodotti già soggetti a tariffe, il settore più colpito sarebbe quello della moda, che si troverebbe ad affrontare un sensibile aggravio di costi.

Nell’eventualità di un incremento generalizzato, invece, le ripercussioni più severe ricadrebbero sull’industria meccanica, con conseguenze negative anche per i settori ad alta e media intensità tecnologica, come quello farmaceutico. Questi comparti, attualmente meno esposti alle barriere tariffarie, giocano infatti un ruolo cruciale nel supporto delle filiere produttive statunitensi.

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