Nel cantiere della Legge di Bilancio torna a farsi strada un tema ciclico e sempre divisivo: il condono edilizio. Tra gli emendamenti parlamentari, compare infatti una versione rivista della proposta che punta a riaprire la sanatoria del 2003. Una mossa che potrebbe sbloccare una massa significativa di immobili irregolari, con effetti a catena sul settore delle costruzioni e sulle casse di Comuni e Regioni.
Perché si parla di nuovo condono
L’emendamento, a prima firma del deputato Rastrelli (Fratelli d’Italia), è stato riscritto per chiarirne e ampliarne l’ambito. La nuova formulazione intende consentire la regolarizzazione di un ampio ventaglio di illeciti edilizi:
- opere realizzate in totale assenza di permesso;
- quelle solo parzialmente difformi dal titolo autorizzativo ottenuto;
- interventi di manutenzione straordinaria e restauri eseguiti al di fuori della legalità.
Tuttavia, la proposta stabilisce esclusioni nette e precise per circoscrivere gli abusi più gravi. Non potranno essere sistemati:
- gli immobili abusivi di proprietà di soggetti condannati per reati connessi a quegli stessi abusi;
- gli interventi su cui non siano tecnicamente realizzabili opere di adeguamento antisismico (clausola cruciale per la sicurezza in Italia);
- gli abusi realizzati in aree vincolate per la tutela del territorio, come le zone a rischio idrogeologico;
- gli abusi che interessano beni di particolare pregio, ad esempio i monumenti nazionali.
La norma nazionale si limiterebbe a dare il via libera, demandando poi alle singole Regioni il compito di adottare una propria legge di attuazione. Questa scelta, se da un lato riconosce le specificità territoriali, dall’altro introduce un forte elemento di disomogeneità potenziale.
Si potrebbe creare un mosaico di norme diverse per ogni territorio, con cittadini e imprese soggetti a discipline differenti a seconda del luogo in cui si trova l’immobile. Il rischio è di una “corsa” all’approvazione delle leggi regionali e di un’applicazione a macchia di leopardo sul territorio nazionale.
Le ricadute sul settore e il dibattito sulla legalità
Per il mondo delle costruzioni e dei professionisti tecnici, una possibile riapertura del condono rappresenta una leva economica di notevole portata. La sanatoria di milioni di immobili oggi “bloccati” potrebbe sbloccare compravendite, permettere l’accesso al credito e avviare un ciclo di ristrutturazioni e interventi di messa in sicurezza. Un potenziale volano per filiere, come quella edile, che stanno affrontando il dopo dei principali incentivi fiscali (Superbonus in primis).
Sul fronte dei conti pubblici, la sanatoria prometterebbe un gettito una tantum per lo Stato e per gli enti locali, grazie al pagamento delle somme dovute per le regolarizzazioni. Una risorsa non trascurabile in un momento di tensioni finanziarie.
Un passo simbolico e concreto
Tuttavia, la mossa riaccende inevitabilmente un dibattito di principio mai sopito: quello sul rapporto tra legalità, pianificazione urbanistica e tutela del paesaggio. I critici sostengono che ogni condono sia un premio all’illegalità, che indebolisce la cultura del rispetto delle regole e vanifica gli strumenti di pianificazione del territorio.
La scelta di rimettere mano al condono del 2003, quindi, non è solo un’operazione tecnica. È un passaggio politicamente significativo, che segna un cambio di approccio dopo anni in cui la tendenza sembrava essere quella del rigore e della semplificazione normativa preventiva.