Una sorprendente percentuale di lavoratrici con due o tre figli, ben il 40%, non ha presentato domanda per il bonus mamme introdotto dal governo Meloni. Questo incentivo, che può arrivare fino a 3 mila euro lordi all’anno, corrispondenti a circa 1.700 euro netti, sembra non aver raggiunto il suo obiettivo tra le potenziali beneficiarie.
Secondo i dati dell’Inps relativi ai primi cinque mesi del 2024, solo 484.730 donne hanno richiesto il bonus entro la fine di maggio, mentre la platea potenziale è di 793 mila lavoratrici, comprendendo dipendenti pubbliche e private e lavoratrici agricole a tempo indeterminato. Ad oggi, c’è ancora tempo per richiedere anche le mensilità arretrate.
La confusione dei due bonus
Il contesto è ulteriormente complicato dalla gestione di due diversi bonus mamme. Il bonus destinato alle mamme con tre o più figli, di cui almeno uno minorenne, è valido fino al 2026, mentre quello per le lavoratrici con due figli, uno dei quali sotto i dieci anni, scade il 31 dicembre 2024. Questo ha creato incertezza tra le lavoratrici, alimentata anche dalla necessità di presentare una domanda esplicita, contrariamente a quanto molti pensavano inizialmente.
Bonus mamme: dettagli e limiti
Il bonus, introdotto senza automatismi, richiede una domanda formale presentata al datore di lavoro, come chiarito dalla circolare dell’Inps del 31 gennaio. Molte lavoratrici hanno scoperto solo a febbraio che i 3 mila euro sono lordi e corrispondono a circa 1.700 euro netti, ovvero 142 euro al mese. Questo ha generato innegabili proteste sui social. Inoltre, i 3 mila euro rappresentano un tetto massimo raggiungibile solo da chi percepisce oltre 27.500 euro lordi di retribuzione annua; chi guadagna meno riceve proporzionalmente di meno.
L’aumento effettivo della busta paga dipende anche dalla decontribuzione generale del 6-7% prevista per il 2024, il che significa che l’aumento reale potrebbe essere inferiore rispetto al massimo teorico previsto dal bonus
Un ulteriore elemento di confusione riguarda l’assenza di un limite di reddito per richiedere il bonus, il quale è accessibile anche a dirigenti e funzionarie. Il tetto massimo di 3 mila euro ha disorientato molte lavoratrici con redditi superiori ai 35 mila euro, che ritenevano di non averne diritto. La scarsa pubblicità della misura ha inoltre limitato la consapevolezza e l’adesione, potenzialmente lasciando inutilizzati parte dei 450 milioni di euro stanziati.
La situazione nelle diverse categorie di lavoratrici
Analizzando le categorie di lavoratrici, solo il 37% delle agricole dipendenti ha fatto domanda per il bonus: 687 su 1.865. Tra le dipendenti pubbliche, la percentuale sale al 56%: 62.500 su 112 mila.
Le lavoratrici del settore privato si sono dimostrate più reattive, con il 62% delle aventi diritto che ha presentato richiesta: 422 mila su 680 mila.
Critiche al bonus mamme
Il Bonus Mamme 2024, introdotto dalla Legge di Bilancio, ha suscitato diverse critiche. Per esempio, il bonus è destinato solo alle lavoratrici dipendenti con contratto a tempo indeterminato, escludendo così le lavoratrici domestiche, le autonome, le libere professioniste e quelle con contratti a termine.
Un altro punto critico riguarda la potenziale riduzione di altre misure di sostegno. Ad esempio, le famiglie che beneficiano del bonus mamme potrebbero vedere una diminuzione dell’assegno unico o un aumento dell’Irpef, annullando parzialmente i vantaggi dell’esonero contributivo. Le simulazioni mostrano che, a fronte di un esonero contributivo, l’aumento effettivo dello stipendio netto può essere inferiore rispetto alle aspettative a causa delle imposte aggiuntive.
L’implementazione del bonus ha incontrato ostacoli burocratici, causando ritardi nell’erogazione. A gennaio 2024, molte lavoratrici non avevano ancora ricevuto il bonus nelle loro buste paga. Il ritardo è stato attribuito alla mancata pubblicazione tempestiva della circolare Inps necessaria per l’attuazione del bonus.
Il bonus, come se non bastasse, favorisce maggiormente le lavoratrici con redditi più alti. Le simulazioni mostrano che il beneficio è proporzionalmente maggiore per chi ha stipendi più elevati, mentre le lavoratrici con redditi più bassi vedono un incremento meno significativo nella loro retribuzione netta. Questo potrebbe aumentare le disuguaglianze tra le lavoratrici, contravvenendo all’obiettivo di fornire un sostegno equo e inclusivo.