Ennesimo scontro tra Nato e Russia, questa volta sul Baltico. Due jet tedeschi hanno intercettato un aereo russo che stava decollando dalla base di Rostock-Laage. Il problema è che sembra che il velivolo di Mosca viaggiasse senza segnalatori accesi e senza parlare via radio – un po’ come guidare di notte senza fari. Gli alleati hanno interpretato questo gesto come un messaggio politico più che un incidente tecnico.
Non a caso l’Estonia ha subito chiesto una riunione urgente al Consiglio di sicurezza dell’Onu, segnalando quanto siano vulnerabili i Paesi baltici, la Polonia e in generale l’intero fianco orientale europeo.
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Un aereo russo sorvola il Baltico: cosa è successo
Quando un aereo non identificato compare nei cieli europei, scatta un meccanismo automatico della Nato chiamato quick reaction alert force. È una sorta di pronto intervento dell’aria.
Per questo i jet tedeschi sono partiti per cotrollare, hanno visto che si trattava di un ricognitore russo e poi hanno lasciato il compito agli alleati svedesi, tornando alla base di Rostock-Laage.
L’Estonia, da tempo tra gli attori più militanti nel sostegno a Kiev, ha deciso di invocare l’articolo 4 della Nato, che impone consultazioni tra i membri in presenza di una minaccia percepita alla sicurezza nazionale. Nella stessa logica si colloca la lettura offerta dal ministro degli Esteri polacco, Radek Sikorski, secondo cui Mosca starebbe procedendo per piccoli passi ostili, calibrati per tastare il livello di attenzione e coesione dell’Alleanza.
Uno degli episodi più recenti ha visto ben 19 droni russi sconfinare in territorio polacco.
Nuove incursioni russe e reazione dell’Estonia
Da un certo punto di vista, sembra che si cerchi il casus belli. Lo abbiamo visto di recentissimo per esempio con i droni russi sulla Polonia. Per molti governi europei Mosca non agisce più per errore ma vuole provocare.
L’abbattimento dei droni russi in territorio polacco e le continue incursioni nei cieli baltici, come l’episodio dei MiG-31 nello spazio aereo estone, non sono letti come incidenti di percorso. Nessun caccia di quarta generazione in teoria sbaglia direzione sopra uno degli spazi aerei più monitorati al mondo. E se lo fa, lo fa per vedere cosa succede.
È una tecnica che risale alla Guerra Fredda: testare i limiti dell’Occidente, non tanto per romperli, ma per rimodellarli a proprio favore. E così l’Estonia ha convocato il Consiglio di sicurezza dell’Onu proprio per parlare della situazione.
In fondo, il potere non è solo controllo dei territori, ma gestione della narrativa. Ed entrambe le parti, su questo fronte, non hanno mai smesso di essere in guerra.
La posizione degli Stati Uniti
Non poteva ovviamente mancare la reazione di Donald Trump, che ha parlato ai giornalisti. Ha detto, testuali parole: “Sì, lo farei. Lo farei”, quando gli è stato chiesto se gli Stati Uniti sarebbero pronti a difendere Polonia e Paesi baltici da nuove mosse russe.
Un po’ come ha promesso all’Ucraina, almeno nelle intenzioni. Per poi ritrattare svariate volte, prima di incontrare Putin. Trump ha anche aggiunto di non essere stato ancora informato nei dettagli dell’ultima violazione, ma che comunque non gli piace ciò che sta facendo Mosca.
Quali sono le rivendicazioni di Mosca
Mentre Kiev continua a rivendicare operazioni con droni contro obiettivi in Crimea (territorio annesso dalla Russia nel 2014 e da allora sotto controllo de facto di Mosca), la diplomazia russa reagisce secondo copione, alzando il livello dello scontro retorico. La portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha definito l’attacco “un atto di terrorismo”.
Zakharova accusa apertamente Nato e Unione Europea di essere non solo sponsor militari dell’Ucraina, ma veri e propri moltiplicatori di instabilità sul continente. Un linguaggio volutamente estremo, dove Mosca appare come l’assediata e non l’aggressore.
Secondo le autorità russe, l’attacco avrebbe colpito zone turistiche della Crimea, come Yalta, prive di installazioni militari. È un dettaglio non secondario: viene presentato come prova che l’Ucraina colpisca senza criterio, rafforzando il racconto di Mosca secondo cui Kiev prenderebbe di mira i civili.
Cosa potrebbe accadere ora
Secondo quanto riportato da Bloomberg, alcune fonti vicine al Cremlino sostengono che Vladimir Putin, dopo l’incontro riservato con Donald Trump avvenuto in Alaska lo scorso agosto, abbia maturato la convinzione che un ulteriore rafforzamento dell’assistenza militare statunitense all’Ucraina sia poco probabile.
Questo avrebbe rafforzato a Mosca l’idea che il momento sia propizio per intensificare la pressione militare sul campo, nella speranza di costringere Kiev a concessioni. I segnali di una possibile riduzione del sostegno Usa ci sono, a cominciare dal fatto che Trump ha chiesto all’Europa di comprare armi dagli Usa.
Nel frattempo, il presidente ucraino Zelensky ha rinnovato la disponibilità a un faccia a faccia diretto con Putin, anche con Donald Trump come eventuale mediatore o presenza scenica. Il che dice molto sul tipo di diplomazia teatrale che si profila all’orizzonte.
Da Mosca, però, la risposta resta inchiodata alla posizione di sempre: qualsiasi dialogo può avvenire solo se prima si discutono le “cause profonde” del conflitto, ossia:
- bloccare l’annessione dell’Ucraina alla Nato;
- tenere la Crimea e le altre zone occupate (come il Donetsk).
Sul piano strategico siamo di fronte a un gioco pericoloso, che prevede da una parte meno sostegno a Kiev, più pressione sul campo, con la speranza che qualcuno (magari Washington) preferisca congelare il conflitto piuttosto che trascinarlo oltre il dovuto.