Se le attività dell’acciaieria dell’ex Ilva di Taranto presentano gravi e rilevanti pericoli per l’ambiente e per la salute pubblica, allora l’impianto deve essere spento. È quanto stabilito da una sentenza della Corte di giustizia dell’Ue che si è pronunciata su un ricorso dei cittadini contro l’impianto nell’ambito della causa denominata C-626/22. La palla passa adesso al Tribunale di Milano che dovrà valutare questi rischi.
Stop alle proroghe e sospensione delle attività
Questo il passaggio fondamentale della sentenza: “In caso di pericoli gravi e rilevanti per l’integrità dell’ambiente e della salute umana il termine concesso al gestore di un’installazione per conformarsi alle misure di protezione dell’ambiente e della salute umana non può essere prorogato ripetutamente e l’esercizio dell’installazione deve essere sospeso“.
Per anni autorità e popolazione hanno dovuto fare i conti con un una scelta drammatica: la tutela della salute pubblica o la salvaguardia dell’occupazione. La Corte Ue ha sciolto il nodo gordiano mettendo nero su bianco che a prevalere deve essere sempre e comunque il diritto alla salute.
Il ricorso dei cittadini tarantini
Tutto nasce dal ricorso, presentato da diversi abitanti di Taranto al Tribunale di Milano con l’assistenza degli avvocati Ascanio Amenduni e Maurizio Rizzo Striano, contro il proseguimento dell’esercizio dell’acciaieria a causa dei rischi paventati per la salute. I ricorrenti sostenevano che l’impianto non sarebbe conforme ai requisiti della direttiva sulle emissioni industriali. I giudici milanesi hanno passato le carte alla Corte di giustizia dell’Unione Europea con sede a Lussemburgo chiedendo se la normativa italiana (comprensiva delle deroghe approvate per tenere aperta l’acciaieria di Taranto) sia in contrasto con la direttiva comunitaria.
I tre quesiti
La Corte, in seduta plenaria, era stata chiamata a rispondere a tre quesiti, e a tutti e tre ha risposto di no, come ha spiegato a La Repubblica l’avvocato Amenduni. Il primo riguardava la possibilità per la legislazione italiana di escludere la valutazione del danno sanitario dall’autorizzazione integrata ambientale. Il secondo quesito riguardava la possibilità per la legge italiana di escludere dal novero delle sostanze nocive da valutare tutte quelle di cui si ha di volta in volta notizia con la valutazione delle sostanze che deve essere dunque ristretta a quelle che tradizionalmente sono legate a un impianto industriale. Il terzo quesito riguardava la possibilità della legislazione italiana di poter prorogare di anno in anno l’attuazione della direttiva 2010 in materia ambientale, come accaduto a Taranto.
La Corte Europea ha prima di tutto sottolineato il collegamento tra la protezione dell’ambiente e quella della salute umana. Si tratta, hanno dichiarato i giudici, della base del diritto europeo, garantito nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.
Tenere conto delle emissioni effettivamente generate
“Nel 2019 – si legge nella sentenza – la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato che l’acciaieria provocava significativi effetti dannosi sull’ambiente e sulla salute degli abitanti della zona. […] Varie misure per la riduzione del suo impatto sono state previste sin dal 2012, ma i termini stabiliti per la loro attuazione sono stati ripetutamente differiti”.
“Contrariamente a quanto sostenuto dall’Ilva e dal governo italiano – ha affermato la Corte – il procedimento di riesame non può limitarsi a fissare valori limite per le sostanze inquinanti la cui emissione era prevedibile. Occorre tener conto anche delle emissioni effettivamente generate dall’installazione nel corso del suo esercizio e relative ad altre sostanze inquinanti”.
Intanto il ministro Urso ha recentemente esposto il piano dei finanziamenti previsti per la riconversione dell’ex Ilva di Taranto: 700 milioni per chi la acquisterà.
Fitto aveva già annunciato lo stanziamento di 150 milioni per il salvataggio. In cassa integrazione ci sono ancora 1.700 persone.
A febbraio il Commissario straordinario dell’ex Ilva Giancarlo Quaranta ha chiesto davanti al giudice della sezione fallimentare di Milano la dichiarazione di insolvenza.