Calcio, rischio default per la Serie A: tutti i numeri della crisi

I vertici del massimo campionato e la Figc lanciano un allarme disperato al governo in vista della prossima legge di Bilancio

Aspettando la riapertura degli stadi al 100% della capienza (qui tutte le informazioni sull’accesso agli eventi con Green pass), il calcio italiano lancia un disperato appello alle istituzioni per limitare gli effetti di una crisi che appare senza fine.

Paolo Dal Pino (presidente della Lega Serie A) e Gabriele Gravina (numero uno della Figc) da settimane stanno interloquendo con il Governo – nella persona di Valentina Vezzali, sottosegretaria allo Sport – rivendicando aiuti concreti per uno dei settori più in difficoltà a causa della pandemia.

Uno stato di enorme difficoltà che parte da lontano, ben prima dell’emergenza Covid, a causa di alcune riforme fondamentali per il rilancio del mondo calcio che da troppo tempo non vengono affrontate dai presidenti delle squadre più blasonate (qui il caso dell’Inter, in rosso come mai prima nonostante lo Scudetto).

Tra queste un massiccio investimento su nuovi stadi di proprietà (i pochi esempi virtuosi di Juventus e Udinese sono sotto gli occhi di tutti) e l’allargamento dell’azionariato societario a gruppi e associazioni di tifosi (soluzione rilanciata ultimamente dall’economista Carlo Cottarelli per arginare la critica situazione dell’Inter).

I dati di un crollo difficile da arrestare

I numeri dell’emorragia negli ultimi 20 mesi sono davvero importanti e fanno ancora più impressione in relazione all’esiguità dei fondi stanziati ad oggi dall’Esecutivo.

Infatti, a fronte di perdite calcolate in 1,2 miliardi di euro (a cui vanno aggiunti i mancati incassi di queste prime giornate di campionato, con gli stadi aperti prima al 50% e poi al 75%), prima il governo Conte II e poi quello presieduto da Mario Draghi hanno stanziato per il pallone complessivamente solo 56 milioni, destinati a tamponi e sanificazione (alla Serie A ne sono andati solo 5).

Sviscerando i numeri del crollo economico (la fonte è uno studio della PricewaterhouseCoopers, multinazionale inglese di consulenze, visionabile per intero qui), si può vedere come il buco maggiore nelle casse dei club sia dovuto proprio ai ricavi della biglietteria, che hanno fatto segnare il dato choc di -341 milioni di euro (-302 in Serie A).

A seguire ci sono le plusvalenze legate al calciomercato con un -326 milioni (quasi tutti legati alle squadre del massimo campionato), poi i ricavi provenienti dalle sponsorizzazioni pubblicitarie (-244 milioni, di cui 228 in Serie A) e dal merchandising (-54 milioni), per concludere con gli ammortamenti e le svalutazioni (-221 milioni, di cui ben 200 solo per i club di Serie A).

Tavolo aperto tra le istituzioni: le soluzioni ipotizzate

Dal Pino e Gravina hanno portato all’attenzione di Vezzali e degli altri componenti della maggioranza la gravità di un sistema che rappresenta una risorsa per le casse statali, considerando che – in condizioni di normalità – per ogni euro investito dal Governo, il calcio ne restituisce al Paese 17,3.

Dopo lo slittamento e la rateizzazione dei debiti fiscali previdenziali concessi a fine 2020, ora gli interventi più urgenti sembrano riguardare gli sgravi fiscali, il rinvio dei versamenti e la rateizzazione dei debiti con l’Agenzia delle Entrate.

Ma un’ultima richiesta cardine riguarda la sospensione (fino al 2023) del decreto Dignità, approvato e pubblicato dal governo Conte I nel luglio del 2018. Una delle riforme più importanti del testo riguarda infatti il divieto di sponsorizzazione ai club da parte delle società di scommesse, nel tentativo di dare un impulso decisivo alla lotta contro la ludopatia.

Ebbene, oggi i vertici del pallone ne chiedono la temporanea sospensione, nel tentativo di recuperare quegli introiti che – fino al 2018 – valevano la bellezza di 100 milioni di euro di entrate per le squadre della massima serie.