Il buono fruttifero postale in lire che ora vale una fortuna

Una risparmiatrice ha visto riconosciuti rendimenti maggiori rispetto a quanto concessi da Poste su un buono fruttifero di 30 anni fa

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Poste italiane aveva deciso di darle 28mila euro al posto dei 65mila che le spettavano, ma il giudice le ha dato ragione. Il tribunale di Torino ha condannato le Poste a riconoscere quando dovuto a una risparmiatrice, titolare di un buono fruttifero postale che aveva acquistato nel 1989, del valore di 5 milioni di lire, e che dopo 30 anni aveva deciso di riscuotere. La sentenza è arrivata al termine di un lungo contenzioso, potrebbe rappresentare un precedente importante per tutti coloro che attendono di vedere pagati i rendimenti sui propri buoni fruttiferi comprati dopo il 1986.

Il buono fruttifero postale emesso in lire che ora vale una fortuna

Da quel momento nasce, infatti, l’equivoco che ha portato migliaia di cittadini a iniziare delle vertenze con Poste italiane. A partire dal 1986 comincia ad essere emessa la serie “Q” dei prodotti di investimento trentennali, con tassi di rendimento inferiori rispetto ai precedenti, che venivano identificati con la lettera “P”.

Per anni gli uffici postali hanno però continuato a utilizzare i moduli destinati ai vecchi rendimenti, più alti, apponendo semplicemente un timbro con la lettera “Q” per fare riferimento ai nuovi, più bassi.

Il contenzioso sul buono fruttifero postale

Una modifica che però sarebbe valida soltanto per i primi vent’anni di rendimento e quindi, mentre Poste calcolava gli ultimi dieci anni con i tassi inferiori (al 8 – 9 – 10,5 e 12%), nel momento del pagamento, alla titolare del buono, l’importo risultava invece il frutto dei rendimenti precedenti (cioè del 9 – 11 – 13 e 15%), di 26 volte superiore alla somma stabilita dalla società.

Sono stati quasi tremila i cittadini che nel 2020 si sono trovati nella stessa situazione della risparmiatrice di Torino e che hanno deciso di fare ricorso all’arbitrato bancario, ottenendo giudizio favorevole.

Nonostante la posizione di torto, Poste italiane aveva deciso comunque di non corrispondere le somme maggiori, ritenendo che ci fossero pronunce di diversi tribunali anche a suo vantaggio.

A quel punto per tanti titolari di buoni fruttiferi non è rimasto altro da fare se non rivolgersi al giudice ordinario in sede civile.