Il 2011 sarà ancora un anno di stagnazione per il Mezzogiorno, con il Pil che crescerà dello 0,1%. E’ quanto emerge dal rapporto Svimez sul Sud, che sottolinea come l’economia nel meridione dell’Italia sia cresciuta dello 0,2% nel 2010. Il documento afferma che nel Centro-Nord la crescita sarà quest’anno dello 0,8%, mentre per tutto il Paese sarà dello 0,6%. Tutte le regioni meridionali presentano nell’analisi valori inferiori al dato medio nazionale e oscillano tra un valore minimo del -0,1% della Calabria e un valore massimo del +0,5% di Basilicata e Abruzzo. In mezzo, Molise e Campania segnano +0,1%, la Puglia +0,3%, mentre Sicilia e Sardegna restano ferme a crescita zero.
Nel Mezzogiorno non lavorano due giovani su tre. Il tasso di occupazione giovanile (15-34 anni) è giunto nel 2010 ad appena il 31,7% (nel 2009 era del 33,3%). La situazione più drammatica riguarda le giovani donne, ferme nel 2010, al 23,3%, 25 punti in meno rispetto al Nord del Paese (56,5%). Bassissimo anche il tasso di occupazione giovanile (15-24 anni), fermo nel 2010 al Sud al 14,4%, a fronte del 24,8% del Centro-Nord. “È come se la debolezza sul mercato del lavoro – si legge nel rapporto – legata in tutto il Paese alla condizione giovanile, al Sud si protraesse ben oltre l’età in cui ragionevolmente si può parlare di giovani”.
Secondo quanto riporta la ricerca, in base all’indagine Ocse-Pisa negli ultimi anni il Sud ha però in parte recuperato il gap nella qualità dell’istruzione. Nel Mezzogiorno la percentuale di 15enni con un livello basso di competenza nella lettura è scesa dal 35% del 2003 al 27,5% nel 2009 (ancora circa 11 punti in più del Centro-Nord); notevole il miglioramento anche per le capacità acquisite in matematica: la percentuale di quindicenni al primo livello scende dal 45,7% al 33,5%; il divario con le regioni del Centro-Nord si riduce da 23 a 14 punti percentuali.
Secondo stime Svimez l’effetto cumulato delle manovre 2010 e 2011 dovrebbe pesare in termini di quota sul Pil 6,4 punti al Sud ( di cui 1,1 punti nel 2011, ben 3,2 punti nel 2012, 2,1 nel 2013) e 4,8 punti nel Nord (1 nel 2011, 2,4 nel 2102, 1,4 nel 2013). Il Sud quindi contribuirebbe in maniera maggiore all’azzeramento del deficit, pari nel 2010 al 4,5% del Pil nazionale. Più in particolare, sul fronte degli incrementi delle entrate, il 76% si realizzerebbe al Centro-Nord e il 24% al Sud, ricalcando così il peso delle diverse aree in termini di produzione della ricchezza.
Discorso diverso, invece, riguardo alla riduzione delle spese: qui il contributo delle regioni meridionali al risanamento finanziario arriverebbe al 35% del totale nazionale, una quota superiore di 12 punti percentuali al suo peso economico. I motivi? I tagli agli enti locali (6 miliardi di euro) e la contrazione degli investimenti pubblici nazionali e regionali, per effetto del Patto di stabilità.