Identità digitale, quale futuro per lo SPID? Il dualismo con la CIE

Garantire a tutti i cittadini e le imprese un accesso sicuro e protetto ai servizi digitali della Pubblica Amministrazione e dei soggetti privati aderenti con un’unica Identità Digitale. Questo l’obiettivo dello SPID, il Sistema Pubblico di Identità Digitale, nelle ultime settimane oggetto di un acceso dibattito. Al centro della questione vi è, infatti, il dualismo esistente paese tra SPID e CIE (Carta di Identità Elettronica) che complica il raggiungimento dell’obiettivo auspicato dal premier Giuseppe Conte di arrivare presto ad un’unica “riassuntiva” identità digitale per tutti i cittadini.

Attualmente l’identità SPID è rilasciata dai Gestori di Identità Digitale (Identity Provider), soggetti privati accreditati dall’Agenzia per l’Italia digitale (AgID) che, nel rispetto delle regole emesse dall’Agenzia, forniscono le identità digitali e gestiscono l’autenticazione degli utenti. A partire dal novembre 2019 tutti i Gestori di Identità Digitale si sono impegnati a fornire per sempre le credenziali SPID di livello 1 e 2 ai cittadini gratuitamente. Il terzo livello di sicurezza, pensato per i servizi più delicati (es. sanità e banca) – che oltre a essere garantito da una “one time password” (Otp) è dotato anche di un certificato criptato su dispositivo o smarcard – è, invece, a pagamento.

LA DIFFUSIONE DELLO SPID – A fine gennaio 2020 le identità SPID rilasciate hanno raggiunto quota 5.685.148. Il tasso di crescita è di circa 50mila identità a settimana. Nel 2019 lo SPID è stato utilizzato per effettuare accessi a servizi in rete oltre 55 milioni di volte, 5.929.601 volte nel mese di gennaio 2020. Per alcuni servizi pubblici (es. la carta del docente) è già obbligatorio usarlo.

MISURE PER INCENTIVARE L’UTILIZZO EFFETTIVO DELL’IDENTITÀ DIGITALE – Considerando che lo SPID è attivo in Italia dal 2016 poco più di 5 milioni e mezzo di utenti non sono molti anche se sono in linea con i dati di diffusione delle identità digitali di altri Stati UE. Per questo il Governo è alla ricerca di misure che ne incentivino l’utilizzo. In questo senso sarebbe senza dubbio utile una campagna informativa volta a spiegare ai cittadini i diversi vantaggi e il risparmio di tempo ottenibile grazie all’utilizzo dell’identità elettronica. Nel futuro provvedimento sulla semplificazione, a cui sta lavorando il ministro della P.a. Fabiana Dadone, insieme a Mef, Mise, Mit, Mibact e al ministero della Salute, un posto centrale è riservato alla digitalizzazione. Qui entra in gioco lo SPID e la sua eventuale revisione da parte del Governo. Effettuare modifiche nella gestione dell’identità digitale e nel meccanismo di rilascio delle credenziali, oggi affidato ad aziende private accreditate, tuttavia, come hanno dimostrato gli emendamenti sulla “statalizzazione dello Spid” presentati dal Movimento Cinque Stelle, per due volte respinti, non è così semplice.

ACCORDO TRA SPID E CIE – L’ipotesi di far convergere la carta d’identità elettronica e lo Spid in un’unica identità digitale presenta diversi problemi e, secondo gli esperti, non è perseguibile. In primis vi è la questione degli attuali nove fornitori d’identità digitale, da Poste Italiane a Aruba che per via della riforma verrebbero tagliati fuori alla scadenza delle convenzioni stipulate con Agid (nel 2021 terminano quelle con InfoCert, Poste italiane, Telecom Italia Trust Technologies e Sielte, nel 2022 quelle con Aruba, Intesa, Namirial e Register, mentre a ottobre del 2023 scade la convenzione di Lepida) buttando via, di fatto, tutto il lavoro portato avanti dal 2015 a oggi. In secondo luogo lo Stato dovrebbe farsi carico di un complesso sistema di gestione senza possedere, al momento, le capacità e le risorse necessarie a gestire i molti e delicati aspetti di un sistema così complesso. Infine la razionalizzazione dei due sistemi in uno unico, potrebbe significare la scomparsa di uno strumento garantito dallo Stato, quale è SPID, per l’identificazione verso privati. I privati possono infatti utilizzare la CIE attraverso appositi lettori in cui si inserisce materialmente la carta di identità, ma non ne possono usare la componente di identità elettronica contenuta nel chip per i propri servizi online perché non esiste normativa che lo consenta. Per gli esperti l’alternativa, in linea teorica, potrebbe essere, con un intervento normativo di non ampia portata, inserire la CIE nel sistema SPID come una credenziale di livello 3. “Il lavoro per portare lo SPID al livello attuale è durato anni e – spiega l’avvocato Eugenio Prosperetti, componente dei tavoli che hanno originariamente concepito e scritto le norme che oggi regolano lo SPID e docente LUISS di informatica giuridica – quello che manca, a mio avviso, è una intensa campagna di informazione che spieghi ai cittadini che lo strumento esiste e porta concreti vantaggi, evita lunghe ed estenuanti file e perdite di tempo. Nessuno attiva una identità SPID se non ne conosce i vantaggi e l’uso”. Prosperetti si dice contrario “all’idea che a fronte di quasi 6 milioni di identità rilasciate occorra ripartire da zero, con una nuova gestione unica che – conclude l’Avvocato – porterebbe, facilmente, anche problemi per la complessità di centralizzare servizi di identità ai privati (es. banche, assicurazioni, sanità) da parte dello Stato e causerebbe confusione per chi ha già familiarità con il sistema.”