Le gallerie in Italia a rischio sono almeno 200. Questo è il dato allarmante che emergerebbe da un primo censimento del Ministero dei Trasporti che alcuni giornali hanno potuto visionare in anteprima, partito all’indomani del crollo all’interno della galleria Bertè, sulla A26 nei pressi del comune di Masone (Genova), il 30 dicembre scorso.
Un dossier caldissimo, che rischia di scoperchiare un vaso di Pandora dalle conseguenze potenzialmente devastanti. Sia riguardo alla sicurezza di tutti noi automobilisti, sia in merito alle responsabilità che ne potrebbero derivare per un colosso come Autostrade. Curioso che il documento sia uscito proprio appena prima che una galleria della A6, tra Savona e Altare, venisse chiusa a causa della caduta di frammenti di intonaco.
Quali sono le gallerie a rischio
Delle 200 gallerie pericolose, 105 sono infatti in concessione ad Autostrade per l’Italia, mentre le altre 90 sono gestite da altre società. Tutte presentano “pericoli di incidenti e crolli”. L’inchiesta è al momento contro ignoti e l’ipotesi di reato è quella di crollo colposo.
Delle 105 gallerie a rischio gestite da Aspi, una decina si trovano tra Piemonte, Liguria ed Emilia-Romagna. Un elenco infinito, in cui spiccano la Turchino e la Mottarone, la Coronata sulla A10, vicina al Ponte di Genova, la Veilino, la Monte Sperone e la Maddalena sulla a A12. E ancora: la Genova-Milano Serravalle, la Monreale e la Monte Galletto sulla A7, la Tarvisio sulla A23 e la Pedaso sulla A14.
Ennesima batosta dunque per Autostrade, che potrebbe essere travolta da un ciclone giudiziario ben più potente di quello che la vede indagata per il crollo del Ponte Morandi e lo scandalo dei falsi report sulla sicurezza dei viadotti.
Il pericolo era noto?
Ciò che lascia perplessi è che la pericolosità di tutte queste gallerie, stando a quanto si apprende, sarebbe cosa nota. Il Consiglio superiore dei lavori pubblici del Mit avrebbe infatti dato opportuna comunicazione delle 105 gallerie gestite da Aspi alla Direzione generale del Ministero delle Infrastrutture, ad Autostrade, ai Vigili del fuoco e ai vari provveditorati preposti alle opere pubbliche.
L’Italia deve ora fare fronte alla procedura di infrazione avviata dalla Ue. Esiste infatti nello specifico una direttiva che infila una dopo l’altra le caratteristiche obbligatorie per le gallerie che uniscono le strade europee.
Cosa dice la Ue
La direttiva europea 2004/54, recepita in Italia nel 2006, fissa per le gallerie lunghe più di 500 metri precisi requisiti di illuminazione e sicurezza antincendio ad esempio – come un certo tipo di ventilazione, rifugi, impianti di estinzione –, dando tempo fino al 30 aprile 2019 per adeguarsi.
Le nostre gallerie invece non rispettano questi criteri: non hanno sistemi di sicurezza, vie di fuga, corsie di emergenza, sono soggetti a infiltrazioni di acqua, ecc.
De Micheli e Di Maio: le ipotesi sul campo
L’ex ministro dei Trasporti del governo giallo-verde, Danilo Toninelli, aveva tentato una proroga fino al 2022, ma Bruxelles l’ha ignorato e a ottobre scorso è partita con la procedura d’infrazione. Mentre il ministro De Micheli ha fatto marcia indietro rispetto all’ipotesi di una maxi multa verso Autostrade, Di Maio e i 5 Stelle insistono sulla revoca delle concessioni ad Autostrade, smentendo che la revoca costerebbe 23 miliardi di euro come qualcuno ha ipotizzato.
La denuncia di Rixi (Lega)
Tra i primissimi a prendere posizione anche il responsabile delle infrastrutture della Lega, Edoardo Rixi, che denuncia la situazione delle autostrade liguri: “Se i camion viaggiano troppo a lato rispetto alla corsia, l’angolo superiore rischia di toccare la galleria e può portare via le ‘onduline’ o quanto è posizionato nel tratto superiore della volta galleria, questo accade proprio perché manca una corsia”.
E ancora: “Tutti sanno che le gallerie non sono a norma europea, si sapeva e ci sono state anche delle proroghe date ai concessionari da parte del ministero”. Rixi rivedrebbe tutti i concessionari, non solo con Autostrade. “Se pensiamo di togliere a uno lasciando agli altri, il primo avrebbe vita facile a vincere un ricorso e a quel punto pagherà lo Stato”.