Ancora una volta le economie in difficoltà come la nostra invocano il salvagente europeo. Ma questa volta non sotto forma di piano di aiuti come per la Grecia, che era sull’orlo del default. Al motto di “prevenire è meglio che curare“, da più parti in Europa si chiede uno strumento in grado di frenare prima del baratro il debito pubblico dei paesi più “inguaiati”. Il suo nome è Eurobond. Ma non tutti sono d’accordo.
La spirale perversa del debito pubblico
Le vicende degli ultimi tempi non fanno altro che confermare i timori sulla solidità dei conti pubblici di alcuni paesi europei, tra cui principalmente la Spagna e l’Italia (per quanto ci riguarda si veda soprattutto la giostra della manovra che dovrebbe proprio servire a rassicurare i mercati). Un rischio di default che fa molta più paura, per le dimensioni delle due economie, di quello di paesi già entrati in crisi in passato (Grecia, Portogallo, Irlanda): se andassimo in bancarotta noi o i cugini spagnoli, infatti, non c’è piano di salvataggio che potrebbe reggere.
Il rischio tuttavia non è solo teorico. La mancanza di fiducia dei mercati impone ad alcuni governi, tra cui il nostro, di rendere più appetibili i propri titoli di Stato, creando una spirale perversa: meno affidabili sono i miei titoli (cioè rischiano di non essere rimborsati alla scadenza) più alti devono essere gli interessi che offro per far sì che l’investitore li scelga (alto rischio, alto rendimento). Ma promettere interessi alti vuol dire allargare ancora di più il debito dello Stato.
Così, mentre la Germania vende i suoi equivalenti titoli di Stato decennali (i Bund) con un rendimento di poco superiore al 3%, l’Italia ha dovuto spesso superare il 6% per i Btp (parliamo del famoso spread).
Eurobond, ovvero sfruttare l’affidabilità degli altri
Viene da qui l’idea dell’Eurobond: se altri paesi europei sono più affidabili, emettendo dei titoli “congiunti” anche noi beneficeremmo della loro affidabilità. Si tratterebbe cioè di debito pubblico europeo, costituito tra i 17 paesi che partecipano alla moneta unica. I titoli dovrebbero essere emessi da un’apposita Agenzia europea per il debito e darebbero vita a un nuovo e gigantesco mercato delle obbligazioni.
Per ora siamo solo al livello di proposta, ovviamente sostenuta con calore da chi ne avrebbe soprattutto vantaggi. Noi, per esempio. Il nostro rating, cioè la valutazione di affidabilità, è AA+, inferiore a quello della maggior parte dei paesi dell’euro (soprattutto Germania e Francia) che hanno il livello di affidabilità massimo (AAA). Salire sul carro dei migliori farebbe guadagnare punti-affidabilità anche a noi. In altre parole brilleremmo di luce riflessa.
Il tasso di interesse dei nuovi Eurobond sarebbe anche inferiore della media dei tassi di interesse dei singoli Stati membri (che attualmente si attesta al 4,41% circa), ben sotto il nostro 6%: per l’Italia significherebbe un’enorme fetta di interessi in meno da pagare.
Ma alle economie forti conviene?
Ma il tasso sarebbe comunque più alto del 3% sui cui viaggia attualmente la Germania. Che interesse può avere quindi il governo tedesco (o francese) a “fare media” con i debiti sovrani di Spagna, Grecia, Italia e Portogallo? Perché Berlino dovrebbe vedere la sua proverbiale affidabilità “tirata giù” dalla nostra o da quella di Madrid?
E’ per queste ragioni che di Eurobond si parla da tempo – Tremonti ne è un acceso sostenitore – ma non se ne è ancora fatto niente. Le economie europee più forti potrebbero forse lasciarsi convincere dai possibili vantaggi collettivi. Il principale è che il mercato dell’Eurobond avrebbe dimensioni così grandi da rendere pressoché impossibili gli attacchi speculativi che attualmente invece stanno coinvolgendo i titoli di Stato dei singoli paesi come l’Italia. E la stessa locomotiva tedesca sarebbe avvantaggiata da una maggiore stabilità nell’area-euro. (A.D.M.)