Cresce la paura per il “virus zombie”: dobbiamo preoccuparci?

I cambiamenti climatici hanno "scongelato" virus che dormivano nei ghiacci da migliaia e migliaia di anni. Sono in grado di tornare a contagiare, ma non tutti

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Tra i vari effetti della crisi climatica e del riscaldamento globale ce n’è uno dagli inattesi risvolti sanitari. Con lo scioglimento dei ghiacciai riprendono letteralmente “vita” virus considerati estinti, che potrebbero rappresentare una seria minaccia per l’uomo in caso di contagio, dato che il nostro organismo non ha potuto “conoscerli” per millenni.

L’ultima piaga proveniente dal grande freddo è uno dei cosiddetti “virus zombie”, vecchi tra i 27mila e i 50mila anni, che per lungo tempo erano rimasti ibernati (ne avevamo parlato anche qui). Ecco dove è avvenuto il risveglio e quali sono i rischi per l’uomo.

Virus zombie: cosa sono e dove “dormono”

Secondo un team di ricerca internazionale – formato dall’Istituto zoologico dell’Accademia Russa delle scienze di San Pietroburgo, del Centro Helmholtz per la ricerca polare e marina di Potsdam e da altri istituti – il nuovo (ma vecchissimo) agente patogeno proviene dal permafrost in Siberia, il cui strato superficiale si è sciolto a causa dell’aumento record delle temperature. Per permafrost si intende lo strato di ghiaccio perenne siberiano, che avvolge il 20% della superficie terrestre ma che ora – a causa dei cambiamenti climatici – si sta sciogliendo rilasciando materiali organici congelati fino a un milione di anni fa.

Jean-Michel Claverie, professore emerito di medicina e genomica all’Università di Marsiglia, ha analizzato tutta una serie di virus “scongelati”, talmente grandi rispetto alla media da essere visibili con un normale microscopio. Nel 2014, il professore è riuscito a “resuscitare” un virus isolato dal permafrost. L’agente patogeno, attraverso l’utilizzo di colture cellulari, ha ripristinato le sue capacità di contagio dopo la bellezza di 30mila anni.

Per questioni di sicurezza sanitaria, l’esperimento ha preso in esame un virus in grado di colpire esclusivamente organismi monocellulari, e non animali o esseri umani. Nel 2015 gli studiosi hanno ripetuto lo studio su un virus in grado di colpire le amebe. Nell’ultima ricerca, pubblicata il 18 febbraio sulla rivista Virus, Claverie hanno isolato diversi ceppi di virus da più campioni di permafrost prelevati da sette luoghi diversi in tutta la Siberia, dimostrando che ciascun ceppo poteva infettare cellule di ameba in coltura. Il virus più anziano risale a 48.500 anni fa, mentre il più giovane ne ha “soltanto” 27mila.

Cosa rischia l’uomo e perché

Il team di ricerca guidato da Claverie ha esaminato i virus estratti dal permafrost e provenienti in origine da carcasse di animali preistorici e da altri campioni biologici emersi dal fiume Lena e dalla Kamchatka (intanto i “super” maiali minacciano il mondo: allarme per nuovo virus).

Come già accennato, il risveglio di questi virus zombie rappresenta una potenziale minaccia per l’uomo, in quanto il suo sistema immunitario non è attrezzato per riconoscerlo ed eventualmente combatterlo. Col rischio di provocare nuove epidemie difficili da contrastare. In totale sono state risvegliate ben 13 specie di virus “zombie” che erano congelate dalla preistoria. Nel dettaglio appartengono a gruppi tassonomici chiamati Megavirus, Pacmanvirus, Pandoravirus, Cedratvirus e Pithovirus.

Se da un lato questi virus sono una “sorpresa” per noi, dall’altro anche il mondo di oggi è totalmente estraneo per loro. Gli scienziati non sanno per quanto tempo gli agenti patogeni “scongelati” potrebbero rimanere efficaci una volta esposti alle condizioni odierne. Né si può stabilire con certezza quanto sia probabile che il virus incontri un ospite adatto alla sua replicazione. Non tutti i virus sono agenti patogeni che possono causare malattie: alcuni sono benigni o addirittura benefici per i loro ospiti. Tuttavia, osserva Claverie, “il rischio è destinato ad aumentare nel contesto del riscaldamento globale, in cui lo scongelamento del permafrost continuerà ad accelerare e più persone popoleranno l’Artico in conseguenza delle attività industriali”.